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La gazza ladra… di musica e di canto

Insostenibile esecuzione dell’opera di Rossini, La gazza ladra, al Municipale di Reggio Emilia (venerdì e domenica sera). Discutiamo pure di tutto, dallo spettacolo all’esecuzione e soprattutto affrontiamo il tema del cast (il secondo rispetto a quello di Bologna-Pesaro), ma confessiamo che alla fine del primo atto ce ne siamo andati sdegnati. L’ottimo e giovane maestro Mariotti, che avevamo applaudito nel Nabucco, ci è sembrato troppo rassegnato alla pochezza di strumenti orchestrali (incredibile la timida ampiezza timbrica e anche degli archi nel famoso e suggestivo preludio), e soprattutto alla scarsità dei mezzi vocali dei protagonisti, alcuni dei quali ci sono apparsi nemmeno in condizione di fungere da semplici comprimari. Senza fraseggio, con strane e contorte sonorità nel momenti di rapido passaggio a suon di biscrome e semibiscrome tipico della musicalità rossiniana, persino privi della neccessaria intonazione, sono stati almeno due dei protagonisti, i giovani soprano e tenore Paola Almameras e Filippo Adami. Un maestro di rango li avrebbe protestati. Strana anche questa rassegnazione del nostro teatro a una produzione dell’ente lirico Teatro comunale di Bologna. Nessuno, un tempo, si sarebbe azzardato a fornire al nostro Municipale una compagnia di seconda scelta. E mai il nostro teatro avrebbe accettato una soluzione del genere. C’è quasi da farsi venire il dubbio che i nostri dirigenti non l’abbiano neanche concordata. Il che aggiunge alla beffa il sapore della farsa. Magari rossiniana, visto che n0n è la prima volta che viene servito a Reggio un Rossini di serie B. Naturalmente alcuni critici di giornali locali hanno parlato assai bene dell’opera, senza riferire dei silenzi imbarazzati e dei voluti  zittii verso i protagonisti decretati dal pubblico lungo tutto il primo atto. Vien quasi il dubbio che non abbiano più orecchie e che per forza devono stabilire che la messa in scena, discutibile anch’essa, ma accettabile (io trovo sempre molto sbagliato distrarre il pubblico dalla musica del preludio fornendo scene che volgono altrove l’attenzione, ancor più se di stampo acrobatico) sia la prima cosa da annotare nel giudizio critico di un melodranma, sia pur semiserio. Se ciò accade è spesso perchè i giornalisti non conoscono neanche la musica e non sanno distinguere un do da un la. E non rabbrividiscono, dunque, a sentir sbagliare un tempo e  una nota, clamorosamente. Non vien loro quel brusco e acido brivido di pancia quando il pentagramma non è rispettato. E non sbuffano come a sentirsi colpiti al cuore. Così si consolano, ed è più facile, con gli apprezzamenti sulla messa in scena. Critici sì, ma senza critica. E con la musica e il canto entrambe in soffitta. E una noia tremenda consolata a suon di tortelli verdi a inizio del second’atto…