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Il Pdl non può diventare un partito. Questo l’errore di Fini

Fini è matto. Vuole trasformare il Pdl in un partito democratico, con tanto di correnti organizzate. Ma con chi credeva di avere a che fare? Con una forza politica composta da dirigenti eletti, da militanti con il diritto di voto libero, da strutture che si autofinanziano? Il Pdl è Berlusconi. Non è Berlusconi più Fini. E i suoi dirigenti non sono eletti, ma assunti nel partito azienda in cui è il capo a eleggere la base e non viceversa. E il capo non deve rivolgersi ai suoi aderenti, ma al suo popolo. E’ il popolo, quello che si affaccia dai balconi e che nelle piazze applaude e grida i suoi osanna al capo, l’unico referente. E il predellino è l’unico vero congresso. Se Fini vuole contare, dunque, si faccia il suo popolo, le sue piazze, si prenda i suoi osanna negli stadi, che gli consentano di costruire i suoi predellini. Il partito è il Partito del popolo, non degli iscritti e dei militanti e neppure dei dirigenti che non hanno altra possibilità che di assentire, altrimenti il ricorso al popolo diventa inevitabile. Il merito di Fini, semmai, è di aver fatto codificare quel che del resto chiaro sembrava già. Ad esempio che è il capo a potere espellere chi dissente e che il partito non ammette le correnti. Cosa che nella storia dei partiti politici italiani non era praticata formalmente, almeno la prima, nemmeno dal vecchio Pci. Ecco, se vogliamo intendere il vero precedente del modello di partito del Pdl, almeno in alcune forme di repressione del dissenso, dobbiamo rintracciarlo proprio nella storia del comunismo italiano e internazionale. Con il referente “popolo” che sostituisce il referente “classe”. E con Fini nelle vesti di Silone, Tasca e della “banda dei tre”. Naturalmente si fa tutto questo per non scimiottare i vecchi partiti, il vecchio sistema delle correnti, i vecchi congressi e tutto quel che la parola vecchio si porta con sè. Con la mia naturale considerazione che, se la democrazia dei partiti e nei partiti è cosa vecchia, allora “viva il vecchio”. Anche perchè, come prima dicevo, questo nuovo modello di partito, non è vecchio, ma vecchissimo e appartiene all’epoca dei partiti totalitari e carismatici. “Lunga, lunga vita ad Aldo Brandirali e sotto la sua guida il popolo vincerà”, si scandiva nel partito marxista-leninsta della fine degli anni sessanta. Questo dovrebbe dire Bersani, anzichè rifugiarsi nella misteriosa e improduttiva equiparazione di Fini e Berlusconi. L’idea di una forza politica liberaldemocratica con una forte sensibilità sociale contrapposta a una di tipo napolenonico-integralista, non può suscitare indifferenza anche a sinistra. Lascio perdere il comportamento degli ex socialisti che tra le due hanno optato per quest’ultima. Cosa che trovo più innaturale della separazione della maggioranza degli ex An da Fini, che è certo meno traumatica sul piano della coerenza alle idee tradizionali. Come finirà lo scontro è presto detto. Tutto dipende dal numero di parlamentari che Fini riuscirà a portarsi dietro. Se Berlusconi si accorgerà che il numero mette a rischio il suo governo (ma non credo) o che il presidente della Camera svolgerà le sue funzioni (e questo è assai più probabile) per intralciare il lavoro del governo, allora ci saranno le elezioni anticipate.