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Quattro saggi (scherzosi e meno) di filosofia secondo Mau Du Beuff

Omne trinum est perfectum (tono scherzoso in la bemolle)

La filosofia di Hegel è basata sulla dialettica, cioè sul rapporto tra una tesi, un’antitesi e una sintesi. Lo sviluppo della storia era a suo giudizio fondato su questo rapporto. Naturalmente il percorso vedeva privilegiare la sintesi che non è la pura somma di tesi e antitesi, ma la loro espressione più corretta ed elevata. Tale rapporto, fondato su una triade, io ho cercato di rapportarlo alle relazioni umane tra uomo e donna, che si vogliono convenzionalmente duali, cioè fondate su una relazione a due (in questo caso la coppia sarebbe una e dunque la relazione sarebbe addirittura unica). Un uomo o una donna hanno un marito (o moglie) o un compagno (o compagna) e dopo qualche tempo sentono l’esigenza del suo contrario (un (o un’) amante). Hanno solo sentimento (filos, secondo i greci) e pretendono giustamente passione (eros, secondo i greci). Nè l’una nè l’altra sono relazioni complete, ma complementari. Occorre la sintesi che ho individuato nella fidanzata (o fidanzato) che sintetizza eros e filos. Si tratta di una funzione privilegiata perchè l’unica capace di assommare le due opposte vocazioni. Ma il dramma è che questa condizione di sintesi, e dunque di privilegio, non viene generalmente compresa e dunque piaceviolmente accettata e la sua interprete inconsapevole vuole togliersi il privilegio e retrocedere a una funzione minore (la sintesi che retrocede a tesi) cioè aportatore e ricettore di solo filos. Questo è dovuto a una insana e irrazionale concezione della proprietà delle persone della quale parleremo in seguito

 L’homo selettore

Bisogna saper separare nelle persone il bene dal male e utilizzare al meglio il bene. Difficile, anzi impossibile, individuare l’homo perfectus. Anzi bisogna generalmente diffidare della perfezione. Si rivela spesso un’impressione sbagliata. Le persone apparentemente senza difetti nascondono in realtà difetti assai più grandi delle persone che i difetti te li fanno vedere apertamente. Sono persone che sanno celare le loro impurità e dunque hanno la vocazione a nascondere e a mentire e questa, a sua volta, rivela la tendenza a mostrarsi diversi da quello che si è per complessi di inferiorità che si rivelano generalmente attraverso atteggiamenti di superiorità. Le persone sono per loro natura imperfette. E allora la tendenza, che è purtroppo prevalente, è quella di esaltare in loro, soprattutto nei rapporti sentimentali, non già le valenze positive, ma quelle negative. Si mettono in risalto, e generalmente questo è motivo sufficiente per troncare un rapporto, le carenze sentimentali, prendiamo i cosidetti possibili tradimenti, e questi diventano motivo sufficiente non solo di rottura del rapporto, ma anche di trasfigurazione assoluta della relazione. Prima ci si ama e poi ci si odia. Prima si esaltava una persona e poi la si denigra. Si parla di amore tradito. E in realtà non è l’amore ad essere tradito, ma  la persona ad essere sostituita, per un aspetto del quale è probabilmente carente, da un’altra. L’homo selettore dovrebbe applicare quello che mi preme sempre sottolineare e cioè la teoria della conciliabilità. Non tutti abbiamo tutto. Noi cerchiamo e spesso non troviamo qualcosa nelle persone. Se una persona ha un bell’aspetto e non ha avvincente cultura, cerchiamo giustamente anche una persona di cultura e di profondità. E via dicendo. Anche nel sesso è così. Magari un rapporto eccellente sul piano sentimentale non riesce a trasformarsi in un rapporto altrettanto eccellente sul piano erotico. E qui balza in evidenza la possibilità di intrecciare relazioni parallele. Cos’è che le impedisce? Il concetto di proprietà delle persone. Se tu, oltre che con me, vai con un altro o un’altra, allora tu non sei più “mia o mio”. Le persone non sono come le cose. E poi anche le cose, in una società collettivistica, oggi in disuso, non sono proprietà di singoli, ma dell’intera comunità. Si tentò di fondare in passato anche la Comune, cioè la proprietà collettiva delle persone. Ma era un grave errore anche questo perchè inibiva la libertà di scelta. Cioè tutte le persone della comunità dovevano stare con tutti. Concetto che implica l’autoritarismo e il venir meno della libertà di ognuno. Se noi superassimo il concetto di proprietà singola delle persone senza sfociare nella proprietà collettiva e pensassimo che ognuno o di noi è solo di ognuno di noi e che può dare molto non necessariamente a una sola persona, allora apriremmo un orizzonte nuovo di vita fondato sul rispetto della libera scelta. E’ il concetto di proprietà che origina la gelosia, uno dei sentimenti più irrazionali del mondo e anche più pericolosi, perchè può produrre atti inconsulti: la violenza, ad esempio. Se tu hai tradito me allora è giusto che tu muoia (delitto d’onore). Lavare l’onta con la morte, addirittura, come Otello con Desdemona, perchè la fine della mia proprietà su di te implica il tuo non diritto di vivere. Come gli schiavi dell’antichità, che non avevano alcun diritto di vita al di fuori del rapporto di schiavitù. Ecco la regressione a cui cui porta la gelosia. Un ritorno al passato più inquietante, oscuro e primitivo. La trasformazione dell’homo in bestia. Meraviglioso no? E questo rimanda al rapporto tra la verità, la convenzione e la menzogna del quale ci occuperemo in seguito.

 De veritate o no?

Dire la verità? Per Oscar Wilde “le cose mai dette sono cose mai avvenute”. E questo è vero. La verità è soggettiva. Nessuno sa esattamente cos’è fino a che non viene rivelata. A volte neppure il soggetto interessato la conosce, qualche volte la rimuove. E poi la verità spesso non vive più. Una cosa avvenuta anni prima che senso ha riviverla dopo, se produce danni? Noi elaboriamo così una verità come fosse presente ancora, perchè è il momento in cui l’abbiamo appresa, e non quello in cui un fatto è avvenuto, l’origine di un possibile risentimento. Mi ricorda, questo comportamento fondato sulle rivelazioni tardive, il dibattito sui delitti del dopoguerra avvenuto nel 1990 a Reggio. I giornali ne parlavano come fossero fatti di cronaca del presente. Erano accaduti quarantacinque anni prima. E questo rendeva la polemica anche un pò surreale, perchè don Pessina pareva il parroco di Santa Teresa lì accanto a casa e il capitano Mirotti quello dei carabinieri di corso Garibaldi. Capita che una verità la si scopra in ritardo. E che venga detta quasi per liberarsene. Niente di più sbagliato. Tu ti liberi di una verità, ma la scarichi su un altro, che magari neppure te l’ha domandata. Questo, di rivelare segreti senza che nessuno ti faccia una richiesta in tal senso, è comportamento invero paradossale. Lo diceva Popper, “non date risposte a chi non vi fa domande”. E invece capita. Se io ti butto addosso il mio cappotto, se io ti getto in faccia la mia giacca, tu reagisci malamente. Ma se io ti getto nel cuore il mio passato generalmente tu ascolti e magari ci soffri anche su, ma non reagisci mai male. Anzi dirai che apprezzi la sincerità. E invece è la stessa operazione, anzi è un’operazione assai più grave e offensiva. Tu scarichi addosso a me una parte di te, che io non conoscevo e questo produce una sofferenza a me per causa tua. Perchè questo avviene? Perchè, si pensa, se tu mi ami, devi conoscere tutto di me. Ma io ti amo per quel che conosco di te e mi basta. Cioè per il meglio di te. Perchè tu mi devi mostrare il tuo peggio, che poi finisce per travolgere tutto? Credo che questo avvenga per un complesso di colpa che qualcuno non sopporta di trascinarsi dietro. Ma la colpa si elimina se è rivelata la fonte della colpa? Non credo proprio. Se tu ha fatto la prostituta prima di conoscermi, e me lo riveli dopo dieci anni di matrimonio felice, allora cancelli quella che tu ritieni una colpa? No. La riversi su di me. Te ne sei liberata. E’ il meccanismo del trasferimento che è micidiale. Tu mi farai soffrire e smetterai di sentirti in colpa. Cioè non ti sentirai in colpa per me che soffro a casua tua, ma anzi smetterai di sentirti in colpa perchè io, sapendo tutto, soffro per te. Pazzesco. D’altronde non si dice proprio: “Mi sono scaricata di una colpa”. Cioè l’hai scaricata addosso a me. Ma vai a …Il problema, semmai, e questa sarebbe la soluzione del problema, è evitare o di considerare le scelte del passato delle colpe o di dividere il passato dal presente. La prima soluzione consente di accettare che il tuo partner possa: averti tradito e avertelo detto molto tempo dopo, essere stato una persona affatto diversa da quella che tu pensavi che fosse. La seconda consente di accettare che tu possa essere stata più persone insieme. Come del resto capita a tutti. Noi non siamo mai un clichè, uno stereotipo, un solo carattere o un solo comportamento. L’essere umano è fallace, contaddittorio, volubile.  Possiamo accettare questa verità, oppure possiamo evitare di scaricara l’uno addosso all’altro. Questo è il punto.

 Einstein, Picasso, Brèl e Del Bue

Riflettiamo su questa frase di Albert Einstein: “Se non accadesse nulla, se nulla cambiasse, il tempo si fermerebbe. Perchè il tempo non è altro che cambiamento, ed è appunto il cambiamento ciò che noi percepiamo, non il tempo. Di fatto il tempo non esiste”. Ora se il tempo è cambiamento e se il tempo da solo non esiste, quanti sono le donne e gli uomini che non vivono il cambiamento e dunque vivono senza il tempo? Prendiamo ad esempio quelle persone che vivono sempre la stessa scena. Si alzano la mattina e bevono sempre il solito caffè, poi timbrano un cartellino e fanno otto ore di lavoro ripetitivo, poi vanno a casa, salutano moglie e figli e guardano  la De Filippi in tivù. Costoro vivono una sola giornata nella vita, la ripetono sempre uguale a se stessa, vivono non 70 o 80 anni, ma un solo giorno. Hanno un giorno di vita. Anche se poi, e questa è davvero una bella contraddizione fisica, muoiono vecchi. Sul concetto di vecchiaia ricordo due belle frasi, una di Pablo Picasso e una di Jacques Brel. Picasso diceva: “Ci vogliono molti anni per diventare giovani”. E in effetti la persona prima richiamata non è mai diventata giovane neppure dopo 70 o 80 anni. Jacques Brèl ha scritto: “Ce ne vuole del coraggio per invecchiare senza diventare adulti”. Laddove il concetto di adulti è quello di esseri maturi in senso deteriore, e l’invecchiamento è qui accorpato invece alla spensieratezza e alla autenticità dell’essere ragazzi sempre. L’ideale sarebbe quello di vivere il tempo, cioè il cambiamento, di vivere giovani anche la vecchiaia, di considerare in giusta armonia spirito e corpo, ma senza essere schiavi del corpo, cheva curato e tenuto in forma sempre, anche se senza la cura della mente anche il corpo deperisce più in fretta. Capita di vedere molte persone, forse più donne, ma anche uomini di una certa età, ricorrere alla chirurgia estetica e alle palestre, per sentirsi in forma. Se non tengono allenata la mente (anzi in giusta sintesi le tre fonti del nostro benessere, poste non a caso a distanza simmetrica l’una dall’altra, e cioè la mente, il cuore e il sesso), costoro appaiono come dissociati fisico-mentali. Cioè esseri liftati, muscolosi, liposuzionati, ridicoli, fuori anche loro dal tempo, quasi  pupazziammaestrati. Anche il corpo risente della vita. D’altronde gli occhi ne sono il primo specchio fedele. Il benessere si rispecchia negli occhi. Non solo nella loro forma (le borse, le rughe), ma anche e soprattutto nella loro espressione. Gli occhi esprimono benessere o malessere. E il benessere dà vita e il malessere toglie vita. E la vita non la si acquista nei centri e nelle cliniche e nelle palestre, ma nel vissuto quotidiano. Certo il corpo ha i suoi bisogni (come mangiare, dormire, defecare e anche correre e sudare e soddisfarsi sessualmente) e questo va fatto al meglio, ma anche questo è condizionato dal nostro benessere di base, dal nostro stare bene con noi stessi. E quest’ultima è la prima e preliminare questione. La nostra cura quotidiana. Poi parleremo dei miracoli della mente.