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Lo scettico blues

Come una musica avvolgente nel fumo di una sigaretta, lo scettico ti avvolge e ti conquista. Dire che nulla è vero o falso, che la realtà non esiste, che non bisogna mai avere opinioni e tendenze, che tutto è soggettivo, dunque non reale, avvince sempre. Anche nel dialogo tra un uomo che intende conquistare una donna e liberarla dalla ragnatela delle convinzioni comuni per portarsela a letto. Cos’è il tradimento? Non esiste. Cos’è la gelosia? Non esiste. Cos’è la fedeltà? Storie. E a lei cominciano a venire dubbi e tentazioni. Non penso però che questo sia stato il principale proposito di Pirrone di Elide (365-275 avanti Cristo), che dello scetticismo filosofico viene considerato il fondatore. Pirrone seguì Alessandro Magno in Oriente e fu certamente in India dove incrociò la tendenza dei cosiddetti “gimnosofisti nudi”. Tra queti ultimi pare albergasse anche certo Vendola di Puglia, la cui foto è pubblicata, con ai lati altri due gimnosofisti nudi, su “Il Giornale”. Pirrone, che non amava certo la politica e non divenne governatore di Elide, portò all’estremo le sue convinzioni, anzi le sue non-convinzioni. Forse derivandole dal contatto con la cultura indiana egli ritenne di dover rifiutare tutto ciò che veniva offerto dai sensi. Cosa è bene o cosa è male? E chi mai lo decide? Il dolore e il piacere, e cosa mai sono? Così Pirrone si faceva investire dai carri e morsicare dai cani, perchè si chiedeva: “Chi mi dice che sia un male?”. Non arrivò a prospettare il dolore come piacere se no sarebbe apparso un precursore del masochismo. E poi questo suo non sapere, era davvero la sua intuizione massima, che portava anche “il sapere di non sapere” socratico all’estremo. Anche quello di Socrate era un dogma. Socrate considerava il massimo delle virtù proprio “il sapere di non sapere”. Pirrone no. Perchè: “E chi mi dice che io so di non sapere?”, avrebbe potuto commentare. Egli, alla domanda, “Perchè non ti uccidi”, rispose: “Perchè non so se sia un bene o un male”. Naturalmente, come Socrate anche lui non scrisse nulla. Perchè non aveva nulla di certo da tramandare. Il suo principale discepolo, Timone di Fliunte, invece, ci lasciò scritti in poesia e in prosa, dove emerge la figura di Pirrone l’imperturbabile. E si deduce che per Pirrone le opinioni e le sensazioni non sono nè vere nè false, e che per questo non bisogna por loro ascolto. Il massimo è non avere nè opinioni nè inclinazioni. Chi raggiunge questo stato si troverà in una condizione di “afasia”, cioè di silenzio. E il silenzio è d’oro. Anzi è il massimo della saggezza. E il massimo delle certezze del filosofo è quello di non fare nè affermazioni nè negazioni sulle cose del mondo. Ma anche questo potrebbe diventare un dogma. E allora Pirrone ti inventa “la sospensione del giudizio”. In quella situazione di aerea dimensione di leggerezza, che per l’esistenzialismo sarà causa d’angoscia, lui riscontrava invece il massimo della felicità. Stupendo. Nè con la destra, nè con la sinistra nè col centro, ma sospesi, potremmo aggiungere noi paragonandolo alla politica di oggi. Un mastellismo mistico. D’altronde tutta la filosofia per gli scettici, altro non è che un blocco unico che intende avere qualcosa da spiegare. E’ un unico blocco dogmatico. Da un lato c’è tutta la filosofia e dall’altro lui, Pirrone, che tutto afferma e tutto nega. E che sostiene che i filosofi altro non hanno fatto che contraddirsi tra loro, in un’altalena di affermazioni e di negazioni. Dopo Pirrone e Timone arrivò Carneade. E chi era costui? Poi Arcesilao e poi lo scetticismo si spense. Si riaccese nel secondo secolo dopo Cristo con Sesto Empirico che nella sua battaglia contro i dogmatici del tempo riscoprì lo scettico Pirrone prospettandolo come un modello da seguire. Pirrone avrebbe forse seguito gli stoici? Niente di più falso. Per gli stoici tutto è rappresentabile e comprensibile, mentre Pirrone è un filosofo della non-gnoseologia. Dunque della non comprensibilità. Della skepsis (ricerca) intesa come azione senza risultato. Direi che gli unici veri attuali seguaci di Pirrone e del suo scetticismo sono i reggiani, che col linguaggio del loro dialetto danno una rappresentazione sempre assai soggettiva e mai certa della realtà.  “A m’è indivis”, cioè mi sembra, viene usato anche di fronte ad eventi certi. Dicono che la Ninèina di Novellara avesse chiesto al marito di comprarle un prigioniero austriaco dopo la prima guerra mondiale e il marito, il contadino Mariòun, l’abbia accontentata. Non sapendo dove farlo dormire i due decisero di farlo dormire con loro “in tal letòun”. Solo che di notte a lei venne sete e Mariòun andò a pompare una brocca d’acqua dal pozzo e quando tornò in camera vide il prigioniero sulla moglie intento a pompare qualcos’altro. Ma lui, indifferente e scettico, se ne uscì con questa emblematica frase: “Ninèina, a me indivis che chi lò at fròla” (Nineina, mi pare che costui ti impintrulli). E lei, di rimando “Am sa anc’a me” (Pare anche a me). Non avevano certo conosciuto Pirrone. Al massimo sentiranno poi parlare di uno scettico blues…