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Oh Matilde, io t’amo è vero…

All’avvocato Gianni Bertolani bisogna proprio riconoscere grande coraggio creativo. E’ un professionista stimato e da tutti riconosciuto come uno degli uomini più in vista di Reggio Emilia, non è più un giovanotto di belle speranze, quel che vissuto lo ha vissuto al meglio. Una persona pienamente affermata. Ma l’amore per la musica e per la sua terra, e soprattutto la voglia di mettersi sempre in gioco con nuovi stimoli, lo ha spinto a una sfida impossibile: scrivere un’opera lirica  su Matilde di Canossa (seguirà a questa un’altra su Angelica, con reminiscenza reggiana del Boiardo, cantore di gesta di guerra e d’amore). Ho assistito ieri sera alla prima di Matilde in un teatro Municipale gremitissimo (non so quanti gli invitati , ma anche gli invitati non sempre riempiono i teatri). Merito degli organizzatori tra i quali l’ex sindaco di Quattro Castella Titti Beggi, che ha voluto uscire alla ribalta alla fine della rappresentazione come fosse un cantante o un regista. Che dire dell’opera? Il coraggio di Bertolani dipende dal fatto di non essere un musicista professionista, a quanto mi dicono di non conoscere nemmeno bene la musica. Suona il pianoforte e canta le sua arie a musicisti che poi le trasferiscono sullo spartito. L’orchestrazione non è opera sua, ma di altri due musicisti. Dunque non si poteva pretendere uno stile. Manca certo uno stile: è neo romanticismo, è vecchio realismo, è imitazione dell’Ottocento con Verdi-Donizetti in prima fila? O cos’altro è? Musica da film e canzoni da anni cinquanta con qualche inno all’Intillimani, Mascagni con Cavalleria cha la fa da padrone nel preludio dell’ultimo atto, Carmen di Bizet che sorvola invadendo tutta la scena del ballo miscellato con una suadente Milonga, Puccini che domina il finale coi violini filati che ricordano Tosca? Inutile cercarlo un unicum musicale che non c’è. Ma questa è proprio la caratteristica dell’opera-musical. Perchè nel suo “Cappello di paglia” Nino Rota non ha forse giocato tutto sull’umoristica rimembranza dei vecchi autori del medramma italiano, mischiandoli e scherzandoci su? Mentre il primo atto ti impone questi interrogativi soprattutto nelle parti interpretate dai singoli (non sempre inappuntabili, diciamo così…) il secondo e terzo atto ti rispondono. Matilde di Bertolani è un poudporrrie di stili, una sorta di musical moderno che ti prende, ti trattiene, ti appassiona e ti commuove anche. E ti fa trascorrere una sereta serena, che ti invita a cantare e ricordare,  perfino, se si potesse, a danzare. E a ritrovarci vecchie arie di romanze, di cori, di balli, di inni, di canzoni, wagnerismi e puccinismi, moriconismi e claudiovillismi. Voluti. Domenico Savino, che ha scritto il libretto, lo conosco come uomo di sport, ma soprattutto di cultura e di chiesa. Come poteva mancare a questo appuntamento e non penetrare con la sua fede tradizionalista in questa epopea che altro non è che il trionfo della chiesa sullo stato, della croce sulla corona? E lui, Savino trionfatore, col linguaggio epico-medioevale che ben gli si attaglia, attinge a piene mani nelle arie di Bertolani, riempiendole di un linguaggio coerente con l’epoca. Bravo Dom, anche tu, come Gianni, coraggioso, creativo dirigente di una fondazione dello sport che potrebbe anche trasformarsi, con te e me (e magari chiamandoci dentro anche Gianni) in una fondazione poetico-musicale. Senza fondi, però.