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Concerto Ligabue: un popolo di credenti

18 Luglio 2011 1.240 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ho voluto rendermi conto di persona dell’identità di questo popolo. E ho inforcato la bicicletta e pedalando sono passato in mezzo alla lunga, infinita fila di ragazze e ragazzi che come formiche sciamavano verso l’aeroporto. Prevalentemente giovanissimi, a coppie, ma anche a gruppi, qualcuno da solo, con sacchi a pelo, borse e borsette, con le braccia e la schiena graffittate e qualcuno con gelati e fette di cocomero che un contadino previdente aveva appositamente confezionato e venduto a un euro a scatola. Centoventimila bocche mute che marciavano verso il luogo del sacro culto. Una messa laica, musicale. Un evento che si ripete (nel 2005 erano forse anche di più). E magari erano gli stessi, perchè Ligabue è un capo tribù, un guru, un messia. Vanno perchè non possono mancare come andavano alla montagna ad ascoltare Gesù. Paragone ardito e fuori luogo, lo so. Ma c’è qualcosa di religioso in questa tribù. Partono la mattina, in treno o in auto, qualcuno in autostop, sfidando i 40 gradi all’ombra, arrivano cinque ore prima e si siedono al sole rischiando un malore (pare ce ne siano stati 600). Soffrire è un dovere per la tribù, prima che lo sciamano arrivi. Anzi la sofferenza è necessaria e gradita perchè c’è poi la gioia del riscatto nell’ebbrezza. Ligabue forse non lo sa. Ma quando litiga con Vasco Rossi litiga con il capo d’un’altra religione. Monoteista anch’essa. E quando afferma “Andate e moltiplicatevi” non gli rispondono “Ma fatti gli affaracci tuoi”, perchè loro pensano che lui sia proprio quello lì. Ho visto due ragazzine con reggipetto con scritto Liga. E’ come il santino che uno si porta al petto. Certo sto volutamente esagerando. Ma per rendere un’idea, per capire quel che muove centoventimila teste e duecentocinquantamila gambe e braccia, per tentare di afferrare il senso di un evento smisurato bisogna andare oltre la normalità. Per questo quel che è avvenuto non può essere letto solo come un evento musicale. E’ troppo riduttivo. Ligabue è correggese e reggiano, come l’autore dei Ciokabek, quello Zucchero da Roncocesi che è diventato Sugar per poi tornare italiano e ridiventare reggiano. E’ un prodotto della nostra terra. Come il grana e il lambrusco, come Matilde di Canossa, come il tricolore. Nessuno prima di lui aveva mai convogliato duecentosettantamila anime in due concerti. E non c’è ormai nessun Ligabue, nemmeno quello di Gualtieri, pittore naif a cui dedicarono un film televisivo, a Reggio, in Italia e nel mondo, al di fuori di lui. Per questo sono contento che il mio cognome non sia come il suo, ma gli assomigli solo. Il destino mi ha risparmiato.

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