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Quel che penso di Scalfaro

Sull’elezione del presidente della Repubblica del maggio del 1992 ho scritto un opuscolo “Diario di un grande elettore”, che racconta esattamente come andarono le cose. Ero alla Camera e avvenero due episodi decisivi: il primo fu il siluramento della candidatura di Forlani (che il Psi appoggiava) da parte degli andreottiani (vidi personalmenie il sottesegretario alla presidenza del governo Andreotti votare scheda bianca). Il secondo fu il corteggiamento assiduo, e che risulterà vincente, di Pannela a Scalfaro e il suggerimento della sua candidatura (Scalfaro era appena stato eletto presidente della Camera). Nella riunione del gruppo socialista di Camera e Senato solo Rino Formica si oppose alla candidatura di Scalfaro, sostenendo che la sua elezione ci avrebbe fatto tornare all’epoca precedente la Breccia di Porta Pia. Dopo la strage di Capaci del sabato, la domenica venimmo immediatamente riconvocati dopo quindici giorni andati a vuoto con candidature di bandiera, dopo il fallimento di quella di Forlani, e la scelta era tra Scalfaro e Spadolini. Era evidente che la candidatura di Spadolini avrebbe impedito quella di Craxi alla presidenza del Consiglio. E il segretario del Psi optò per il suo ex ministro degli Interni, che gli promise il mandato di formare il governo il giorno succesivo la sua elezione. Questo non avvenne, perché il Pool Mani pulite entrò a gamba tesa sostenendo che Craxi era ormai nella rete. Così Scalfaro chiese a Craxi un altro candidato avanzando l’idea che fosse solo per un anno e Craxi formulò la famosa terna (Amato, De Michelis e Martelli). Che non era solo, precisò, in ordine alfabetico. Scalfaro si schierò poi apertamente dalla parte del Pool Mani Pulite che decise di salvaguardare le quattro massime cariche dello Stato (allora rappresentate da Scalfaro, Amato, Spadolini e Napolitano). Ciò determinò alcuni paradossi: Spadolini non venne inquisito e lo furono il segretario del Pri prima di lui e quello dopo di lui, Amato fu uno dei pochi socialisti a non ricevere mai un avviso di garanzia, Napolitano fu, al contrario di Cervetti, il riformista del Pci uscito lindo e Scalfaro risultò l’unico ex ministro degli Interni a non aver ricevuto i fondi Sisde. Nella bufera di Tangentopoli Scalfaro non pronunciò mai un solo accenno garantista e si rifiutò di firmare, su dettatura dei magistrati di Milano, il decreto Conso. Inventò la candidatura di Prodi e lo accolse al Quirinale poi avversò Berlusconi. Si iscrisse più tardi al Pd, lui che aveva scelto Scelba tra le correnti democristiane e aveva schiaffeggiato una donna troppo scollacciata in un ristorante, accusandola di offendere la pubblica morale. Non volle mai esprimere una sola parola sulla sofferenza del suo ex Presidente del Consiglio che gli permise di diventare presidente della Repubblica.