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Se Rota avesse detto di Parma quel che ha detto di Reggio?

24 Febbraio 2012 3.269 views One CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Si sa, non siamo solo anonimi, ma anche un po’ provinciali e campanilistici. Almeno io. E per questo confesso che mi sono posto la domanda: “Ma se l’architetto Rota avesse avuto un incarico di restaurare il museo di Parma e avesse detto che il palazzo che lo ospita è anonimo in una città anonima e per di più troppo popolata da maiali, visto che i nostri cugini producono prosciutti e culacce e culatelli in quantità, cosa sarebbe successo?”. Dubito che nessuno avrebbe fiatato. E che addirittura i più gli avrebbero anche dato ragione. Io non ho mai sopportato questo autolesionismo, questa cultura della minorità, questo masochismo che attanaglia una parte di questa città propensa addirittura ad applaudire chi la offende. E che spesso si piega alle esagerazioni. A volte punta ad essere considerata la prima della classe, a volte accetta di scivolare tra gli ultimi, senza mai vie intermedie. Senza ragioni plausibili. Incapace spesso di reagire e di controbattere. Merita rispetto Italo Rota per i suoi capolavori? Ci mancherebbe. Ma solo perchè si chiama Rota può dire quel che vuole e ha sempre ragione? Non c’è anche un’eccesso di esterofilia, questa sì frutto di provincialismo? Ricordo i grandi lavori di Pizzi al nostro teatro. Mica perché si chiamava Pizzi coglieva sempre nel segno. Si poteva discutere anche quel che faceva lui. O no? Ricordo Jervis e la sua psichiatria democratica. E una intuizione che ci porterà alla legge 180. Ma non tutte le sue idee praticate qui erano prive di conseguenze e sono state anche giustamente criticate. A Reggio ci fu chi criticò anche il tenore Del Monaco, le regie di Zeffirelli, mentre qualcuno zittì Pavarotti, polemizzò con Valli, allontanò Tagliavini. E a volte sbagliando. E sempre eccedendo. Oggi siamo all’eccesso opposto. Che mi ricorda quella famosa battuta di Totò sugli schiaffi presi da un certo Pasquale che ad ogni schiaffo rideva anche, tanto lui mica era Pasquale…

 

One Comment »

  • Claudio Pedretti said:

    Concordo pienamente riguardo al provinciale inginocchiarsi al giudizio superficiale di un Rota che riproduce una volta di più lo stereotipo dell’architetto pressapochista che non sa cogliere il genius loci di una città antica e piena di arte.
    Tuttavia, da architetto, non posso non rilevare come un certo indirizzo imposto da una Commissione Edilizia abbia prodotto tanti cubetti o ‘quadrucci in brodo’, come direbbe chi non è di Reggio.
    Giungendo a Reggio si ha la sensazione, e nel mio caso certezza, che la cifra stilistica imposta sia stata un razionalismo pauperistico ed anonimo; ho detto certezza perchè ho avuto modo di sperimentare sulla mia pelle l’imposizione di tale linea culturale.

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