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Di Pietro come Schettino

Tutto si poteva prevedere, ma che un leader, anzi fondatore e padre padrone, lasciasse improvvisamente il suo partito e si arruolasse in un altro, abbandonando i suoi soli e disperati, no, non era mai capitato. Parliamo di Tonino Di Pietro, alle prese coi problemi della sua Italia dei valori (immobiliari), crollata in pochi mesi dall’8% all’1, qualcosa. Di Pietro ha prima celebrato il funerale della sua forza politica, sostenendo nella riunione del suo organo dirigente che l’Italia dei valori era morta (per colpa di chi, potrebbe chiedere provocatoriamente Zucchero?), poi ha scelto di arruolarsi individualmente nella lista Ingroia. I suoi oppositori, a cominciare da Donadi, sono finiti con Tabacci e Loiero nella lista del Centro democratico che ha di fatto sostituito il Psi nel Patto per l’Italia bene comune, gli altri, rimasti nella vecchia casa, stanno cercando riparo in qualche rifugio esterno. Nella Caporetto dell’Italia dei valori alcuni dirigenti stanno approdando al Pd, pochi, altri a Sel, ma non pare siano molto graditi, altri ancora addirittura al Psi, come i consiglieri regionali del Lazio. Si accontentano di una semplice candidatura senza garanzia di elezione in una lista regionale o anche comunale, e sono disposti a sconfessare Di Pietro, a imprecare contro di lui e le sue vocazioni edilizie. Di Pietro come il comandante Schettino. Mentre la sua nave sta affondando lui prende la scialuppa per salvarsi la vita. Senza neanche chiedere via radio se ci sono dei morti. E soprattutto urlando “Ingroia…”, che non รจ un’imprecazione, ma il nome di uno scoglio.