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La salita di Nencini

Lo zio Gastone vinse due grandi corse a tappe: il Giro del 1957 e il Tour del 1960. Pur essendo gran discesista, Nencini era anche buon scalatore. Certo arrampicarsi sul Tourmalet o sul Galibier era più facile che inoltrarsi, come ha dovuto fare il nipote Riccardo, nel meandri delle resistenze del Pd, affrontando nel contempo un agitato mare di pretese e di ambizioni interne non sempre giustificate. In molti, in troppi, volevano scalare quella salita. E accettavano anche spinte e spruzzate d’acqua pur d’arrivare lassù. Sono stati giorni intensi e notti insonni. In palio c’era il dovere di riconquistare la soglia di Montecitorio e di palazzo Madama. Le questioni da considerare erano nell’ordine: i possibili effetti della legge elettorale, definita Porcellum dal suo autore, che nomina e non elegge i parlamentari, ma che fissa, tre le altre clausole, anche quella del recupero della prima lista coalizzata sotto il due per cento, le proposte che il Pd, dopo aver costituito con noi e Sel il Patto per l’Italia bene comune, aveva intenzione di mettere sul piatto di un’eventuale lista comune, la selezione dei candidati socialisti, sia nel caso di presentazione di una lista autonoma, ancorché apparentata, sia, a maggior ragione, nel caso di presentazione di candidati da inserire nella lista comune col Pd. Nella tre giorni romana, che ho seguito senza sosta, ho sgombrato personalmente il campo da una questione personale e ho annunciato la mia volontà di rinunciare a qualsiasi candidatura. Per tre legislature sono stato deputato alla Camera, anche se due di queste sono durate solo due anni, per un anno sono stato sottosegretario, sono attualmente assessore del mio Comune. Largo ad altri, dunque. Così ho potuto svolgere un ruolo anche più attivo, perché disinteressato, e meglio contribuire a quella che per me appariva come la soluzione migliore. La proposta di fare liste socialiste alla Camera l’ho lanciata alla riunione della segreteria e dei segretari regionali che si è svolta nella giornata di mercoledì. A me pareva che il rischio, secondo il mio giudizio neppure elevato, di essere superati dalla lista Tabacci andasse corso, sopratutto alla luce delle proposte che provenivano da casa Pd. I tre moschettieri Bersani, Migliavacca, Errani, indicavano solo tre nomi di dirigenti socialisti, più tre esterni, impreziositi da due candidature border line. L’obiezione, neppure di poco conto, me ne rendevo conto, era costituita dalla scarsità di risorse disponibili nelle nostre casse per affrontare una campagna elettorale, oltre che dall’incerto risultato finale. Per alcuni incerto perché il Pd pareva disponibile a sponsorizzare la lista del Centro democratico, concepito come argine sul fronte destro dell’attacco montiano. Nella giornata di giovedì, dopo che Nencini aveva rassegnato le sue dimissioni nell’agitata notte di mercoledì, da casa Pd venivano avanzate nuove proposte. Le candidature potevano essere tutte interne, le presenze al governo, nel caso di vittoria, assicurate, l’accordo sarebbe stato preceduto da una sorta di preambolo politico per garantire autonomia anche organizzativa e finanziaria alla delegazione socialista alla Camera e al Senato, il Psi avrebbe presentato le sue liste al Senato in Lazio, Campania e Calabria. Complessivamente le candidature del Psi sono salite così a cinque-sei sicure in caso di vittoria del centro-sinistra alla Camera, più un’altra postazione possibile, che porta il numero a sette, oltre a qualche decina di candidature di bandiera, col segretario in testata di lista. Nella giornata di venerdì sono state formulate delle ipotesi di nomi, poi vagliate dai singoli comitati regionali. Nominativi che nei primi giorni della prossima settimana verrano resi pubblici. Alla conferenza stampa Nencini, il nipote Riccardo, ha manifestato la sua soddisfazione per il risultato raggiunto. E la sua salita, tra trabocchetti, fughe, scatti improvvisi, giochi di squadra, si è così conclusa. A Montecitorio non s’avvertivano le urla dei tifosi che hanno accolto lo zio a les Champes Elisèe parigini, ma sorrisi e strette di mano. Gli insoddisfatti minacciano reazioni, i pochi designati ridono compiaciuti. Come sempre. Nel microcosmo socialista si respira la stessa aria del macrocosmo democratico o pidiellino. Le ambizioni mai come adesso si mostrano debordanti e spesso ingiustificate. Singoli iscritti, amministratori, dirigenti provinciali e regionali, anche amici e compagni che, eclissatisi da anni, sono ritornati d’incanto dinnanzi all’uscio di casa per manifestare disponibilità, chiamiamola così, ad una candidatura. In tantissimi hanno naturalmente dovuto imborsare il violino. E anche coloro che si dichiaravano fermamente intenzionati a presentare liste autonome, pretendevano poi candidature poco autonome e a seconda della risposta tornavano più o meno autonomisti. Era meglio presentare la lista. Ma anche con la lista l’ambizione di figurare tra gli eleggibili, cioè capilista, sarebbe stata forte e generalizzata. Adesso, però, un capitolo si è chiuso e un’altro se ne apre. La campagna elettorale è alle porte e il futuro del nostro partito, che dipenderà, aggiungo purtroppo, anche dal risultato di un altro partito, mette noi tutti di fronte al nostro senso di responsabilità, alla nostra capacità di suturare le ferite interne. Dipenderà dalla nostra fantasia e anche dallo spessore politico dei nostri futuri parlamentari e, qualora non fosse eccezionale, dal partito che sapremo costruire insieme. Per parte mia resto collaborazionista critico, non riesco a diventare diverso alla mia età. Tuttavia di fronte al richiamo a serrare le fila, non riesco a dir di no. Come disse a Gastone Nencini, collaborando con lui alla vittoria della Grande boucle, quel Baldini che due anni prima aveva trionfato al mondiale di Reims…