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Il pugno chiuso di Coviolo

Sia ben chiaro. Io non contesto coloro che hanno partecipato ai funerali di Prospero Gallinari perché lo avevano conosciuto da ragazzo o perché in rapporto con la sua famiglia. Non si può certo condannare la solidarietà al dolore, né reprimere i ricordi. E neppure mi parrebbe il caso di criticare la partecipazione dei vecchi compagni di cordata, che hanno condiviso con Gallinari un’esperienza tragica. Perché non avrebbero dovuto intervenire all’ultimo saluto di uno di loro? Quel che invece mi sento di condannare nel modo più risoluto è l’esaltazione di una storia che ha seminato morte e paura, che è costellata di omicidi e che si è conclusa nel più desolante dei fallimenti. E purtroppo è quel che è avvenuto al cimitero di Coviolo, così inopinatamente riassunto nella frase di Oreste Scalzone (“Gallinari non si è mai dichiarato innocente”), mentre tutto intorno risuonavano canti e si agitavano pugni chiusi. È vero, Gallinari non si è mai dichiarato innocente e non si mai pentito, né dissociato, e questo può renderlo ancora più vulnerabile all’esaltazione in una società nella quale la coerenza è divenuta una rara virtù. Si tratta, però, d’un filo di continuità con la stagione del terrorismo e della pratica dell’omicidio politico. Non tanto con un’idea politica o con una dottrina di pensiero. È vero, anche in altre fasi della storia d’Italia si é praticata la violenza, anche la più spietata, penso agli attentati anarchici e prima a quelli mazziniani, alla guerra civile del 1921, alla pratica fascista dell’omicidio politico, alla vendetta del post Liberazione. Ecco perché la condanna del terrorismo degli anni settanta deve essere innanzitutto politica. Dove stava scritto che nell’Italia di quegli anni esistessero le condizioni per scatenare una guerra contro lo Stato? Perché si decise di metterla in atto in quel modo così truce, costellato di assassinii di uomini politici avversari, di magistrati, di giornalisti, di agenti di pubblica sicurezza? E poi, in quale periodo della nostra storia sono stati perpetrati brutali omicidi come quelli di Roberto Peci, colpevole solo di essere fratello del pentito Patrizio, e di Giuseppe Taliercio, che venne prima anche torturato, aggiungendo così al drammatico errore di praticare la guerra anche un effetto di inusitata ferocia? Questa fase è morta e sepolta e a nessuno dev’esser consentito di risuscitarla e addirittura di esaltarla, offendendo le famiglie di coloro che hanno perso i loro cari, solo colpevoli di esser finiti nel mirino delle Brigate rosse e sigle equivalenti. Troppi sono oggi i possibili segnali della ripresa di una lotta fondata su elementi di violenza e di sopraffazione. I cattivi maestri, quelli che anche allora tiravano il sasso e nascondevano la mano, sono ancora in azione. Allora reclamavano l’inutilità delle istituzioni democratiche, poi si stupirono che migliaia di giovani avessero creduto alla loro analisi impugnando il fucile. Oggi vaneggiano di azioni di rivolta e di attentati contro le decisioni del Parlamento. I giovani devono sapere la verità. Il terrorismo ha seminato lutti ed è stato sconfitto perché era fallito già prima di cominciare questo assurdo e macabro viaggio. Perché avevano torto marcio i suoi attori e prima ancora i suoi maestri. Non c’è nulla che possa essere salvato e men che meno esaltato in quel folle impeto di morte. Altro che revival di Coviolo…