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Seminario Psi: riflessioni e proposte

13 Marzo 2013 944 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ho avanzato, al seminario promosso dal Psi a Roma, alcune considerazioni e proposte che avevo condensato in otto punti, ma che poi, per scaramanzia, ho ridotto a sette.
1) Il risultato elettorale ha avuto un carattere rivoluzionario. Un movimento nato pochissimi anni orsono, senza deputati, senza senatori, senza posizioni di potere, ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti degli italiani alla Camera. La coalizione di centro-sinistra è riuscita nella difficile impresa di ottenere il premio di maggioranza a Montecitorio con una differenza dello 0,3 per cento nei confronti del centro-destra e senza conseguire alcuna maggioranza al Senato, neppure col supporto del centro di Monti. Il modo col quale il Pd di Bersani sta corteggiando il Movimento di Grillo è politicamente inopportuno ed elettoralmente pericoloso. Ho letto su Repubblica che Bersani ha iniziato a dialogare anche con Celentano. Forse promettendogli l’abbattimento di tutte le case di via Gluck… Farsi dileggiare e insultare da Grillo, che ha più volte affermato l’indisponibilità a sostenere un governo Bersani, pare a me iniziativa che sconfina nel masochismo politico. Affidare a Grillo un ruolo decisivo per il governo del Paese sposando molte delle sue tesi a me sembra funzionale al rafforzamento dei Cinque stelle più che non del Centro-sinistra.
2) Il Psi deve proporre un governo di unità nazionale delle durata di due anni che possa portare a soluzione alcuni gravi, drammatici problemi dell’Italia, un governo che possa essere frutto dell’iniziativa del presidente della Repubblica e che coinvolga i maggiori partiti disponibili, formato da personalità della società e della politica, non un governo tecnico, ma un governo con personale largamente rinnovato della politica, che si ponga tre obiettivi di fondo, che più oltre verranno richiamati. In mancanza della volontà politica di formare un governo di unità nazionale, si potrebbe varare un esecutivo di scopo con il solo obiettivo della legge eletterale e indire nuove elezioni subito dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. La via da evitare è quella di un immediato ricorso alle urne senza variazioni di legge elettorale, un’incognita pericolosa, fortemente lesiva degli interessi nazionali.
3) Alla luce del risultato elettorale emergono tre esigenze di fondo che un governo di due anni dovrebbe affrontare. Una profonda riforma del sistema politico, elettorale, costituzionale, perché quello inaugurato nel 1994 dopo Tangentopoli si è rivelato fallimentare, un radicale cambiamento della politica economica e sociale dell’Italia, un diverso atteggiamento nei confronti dell’Europa.
a) Era inimmaginabile che il Parlamento arrivasse, nonostante le diverse sollecitazioni del capo dello Stato, a indire nuove elezioni con la vecchia legge elettorale. Così è stato per la corresponsabilità dei due partiti maggiori, entrambi stuzzicati dall’idea di votare con le vecchie norme per reciproci motivi di interesse. Così, durante l’anno di Monti, coi partiti che avrebbero dovuto procedere a corrispondere alle esigenze di cambiamento dei cittadini, nulla è stato fatto, né per il contenimento dei costi della politica, vedasi la legge sulle province, né sul tema più volte agitato della riduzione del numero dei parlamentari, né sulla modifica del cosiddetto Porcellum, portando così acqua al mulino dei contestatori o della cosiddetta anti politica.
b) Era assai difficoltoso far passare come popolare una politica economica e sociale che si basava solo sul rigore e che ha portato l’Italia certo a diminuire e di molto lo spread, ma al costo di un dura recessione che ha sfiorato il 3 per cento. Questo a causa della chiusura di aziende, dell’aumento del numero dei disoccupati e in particolare dei giovani senza lavoro. Il tutto ha finito coll’aumentare ancora il nostro debito pubblico che si avvicina ormai al 130 per cento del Pil. É evidente che tutto questo non può essere addebitato al solo governo Monti, ma ai governi che l’hanno preceduto e che hanno sempre rinviato tutti i provvedimenti tendenti a promuovere o rafforzare la ripresa economica, il vero tallone d’Achille dell’Italia degli ultimi vent’anni, quando il tasso di sviluppo nazionale è sceso alla metà di quello europeo, mentre negli anni ottanta era il doppio.
c) Era impossibile e resta impossibile anche oggi una diversa politica economica e sociale se non si mettono in discussione alcuni parametri europei. Altri lo stanno facendo, vedasi la Francia di Hollande che si confronta con un deficit molto più alto di quello italiano e superiore al 3 per cento fissato dalle normative europee. Occorre però una classe politica autorevole, che in Italia manca almeno da vent’anni, capace di difendere gli interessi nazionali e di non piegare la testa a quelli altrui.
4) Sulla questione del cambiamento del sistema politico e istituzionale penso che l’idea giusta sarebbe l’elezione di una Assemblea costituente, per ridisegnare l’impalcatura italiana, in questi vent’anni alle prese con un parlamentarismo “de iure” e un presidenzialismo “de facto”. A prescindere dallo strumento e nelle contingenze precarie della situazione italiana la cosa peggiore è andare alle elezioni con la vecchia legge elettorale e con le vecchie normative istituzionali. Una sorta di percorso da repubblica di Weimar, segnato da un inevitabile logoramento e declassamento nazionale. Dobbiamo proporre che nasca un governo di unità nazionale della durata di due anni, anche per procedere alla riforma del sistema elettorale e costituzionale. Oltre a una legge elettorale con la quale i cittadini possano scegliere i loro candidati, preferibilmente con le preferenze, e con un’ossatura proporzionale, i socialisti devono propendere per il sistema tedesco. Federalismo e cancellierato o nomina del primo ministro dal Parlamento. L’alternativa è il sistema francese, con collegi uninominali a due turni ed elezione eretta del Presidente della Repubblica, che i socialisti possono anche accettare, ma si rivela meno idoneo alla peculiarità italiana. Sui costi della politica ritengo opportuno un processo di accorpamento delle province, ma senza eliminare i Consigli, l’unica istituzione elettiva, la riduzione degli stipendi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, senza arrivare alla situazione precedente la conquista della remunerazione dei parlamentari voluta dai partiti popolari perché l’attività elettiva poteva essere svolta solo dai nobili e dai borghesi benestanti. Il finanziamento ai partiti era stato abolito per referendum nel 1993 sull’onda della sollevazione dovuta a Tangentopoli. Ed é stato truffaldino riprenderlo come rimborso elettorale addirittura rimpolpandolo e di parecchio. Resta il tema del finanziamento ai partiti, che potrebbe avvenire attraverso defiscalizzazioni stile 8 per mille della Chiesa cattolica o in altre forme.
5) Il Psi deve proporre come necessarie, per una diversa politica economica e sociale fondata sulla crescita, l’immediata revisione del patto di stabilità, che costringe i comuni a residui passivi di oltre 70 miliardi. Risorse che esistono e non possono essere spese, con aziende che non possono essere pagate per lavori già eseguiti e che si trovano sull’orlo del fallimento o già fallite, la detassazione per i giovani neo occupati, la revisione della legge Fornero per renderla meno rigida nei contratti proposti che hanno praticamente bloccato ogni flessibilità, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa che non sia di lusso, la riforma degli istituti di credito e della linea dei crediti oggi bloccati per le piccole e medie aziende, il rilancio di un politica delle infrastrutture compresa la Lione-Torino, nell’indispensabile corridoio europeo finanziato dalla Comunità.
6) Una diversa politica economica e sociale è possibile solo se vengono riviste alcune clausole delle intese europee. In primis lo svincolo degli investimenti dal debito, ma anche un più graduale rientro del debito stesso. L’Italia con più del 2 per cento di recessione ha un deficit del 2,1 sul Pil, cioè ha un bilancio in sostanziale pareggio, com’è noto, anticipato su dictat della Bce al 2013. La Francia ha un deficit del 4,5 e l’Inghilterra, che è fuori dall’euro, del 7 per cento. Una classe dirigente autorevole deve farsi valere. Sotto un livello accettabile di sacrifici c’è il rischio della tenuta democratica di un paese. Ci sono fermenti preoccupanti non solo in Grecia, ma anche in Spagna, Francia e Portogallo, oltre ai rivolgiment italiani, che devono essere governati. Inutile ricordare che si deve marciare verso l’Europa unita e non certo uscire dall’euro. Ci vuole più Europa e non meno Europa per uscire dalla crisi. Ma l’Europa politica deve decidere le politiche economiche e monetarie, non già la Bce e il solo governo tedesco. La stessa banca deve assumere le funzioni di banca europea e stampare moneta, emettere gi eurobond, mentre il governo europeo deve tassare le transazioni finanziarie e normare il mercato finanziario.
7) In questo contesto il Psi ha ottenuto la soddisfazione di far rientrare in Parlamento alcuni, anche se pochi, suoi rappresentanti, mentre Di Pietro ne usciva coi suoi falsi giustizieri. Il comportamento del Pd di Bersani nei confronti del Psi é stato altalenante e incoerente. In una prima fase ha aperto al Psi come a un partito fondamentale del Patto per l’Italia bene comune, come la terza gamba del tavolo composto dal Pd e da Sel. Poi, dopo la discesa in campo di Monti, ha di fatto espulso il Psi e lo ha sostituito con il Centro democratico di Tabacci. Come i troiani temevano i greci o danai, anche quando portavano doni, così noi abbiamo temuto Tabacci e il tabaccismo che poteva espropriarci di parlamentari e ci siamo orientati ad accettare le proposte assai ingenerose del duo Errani-Migliavacca, che dispensavano anche incarichi di governo, ahimè quanto prematuri. Non è il caso di tornare sull’argomento. Anche perchè chi doveva parlare lo ha fatto prima, chi ha voluto tacere è inutile che parli e si lamenti adesso. Penso che il Psi che si è presentato alle elezioni con un decalogo debba presentare alcune proposte di legge il giorno stesso di apertura del Parlamento, quelle di natura economica, mettendo al primo posto crescita e lavoro. E che i nostri cinque o sei parlamentari, se è vero che abbiamo inserito in formazione anche un brasiliano, debbano iscriversi al gruppo misto della Camera e del Senato, anche per dare un segno di autonomia dal Pd. E per smentire i nostri prevenuti critici. E cioè che i socialisti, una volta passate le elezioni, avrebbero aderito al Pd. Oltretutto adesso verrebbe voglia di dire a quale Pd? Partito con già le armi in mano tra contendenti renziani e bersaniani o, sarebbe meglio dire, ex bersaniani. Si può dunque aprire una riflessione nel nostro piccolo partito neo parlamentare che escluda un esito, quello del suo scioglimento nel Pd. Non è tempo di scioglierci in un partito che riesce a perdere le elezioni anche quando, come nel 2006 e anche quest’anno, sembra più facile vincerle. Ci deve essere qualcosa che non funziona. Ci sono a mio avviso ancora tre fattori ostativi in questo partito, il fattore D, l’anomalia di un partito che non esiste in Europa e che non ha storia in Italia, il fattore K, la sua perdurante percezione di continuità comunista, che forse è anche irreale, ma che tale appare in una larga parte dell’ettorato e che con Renzi sarebbe stata invece assolutamente smaltita. E infine uno fattore R, la difficotà a leggere la realtà per quella che è e non per quella che si desidera. Ad esempio il giudizio su Grillo che cambia a seconda dei desideri, o quello sulla cosiddetta destra senza Berlusconi. Ma è Berlusconi che ha fondato la destra in Italia e che la capeggia, la legittima e la porta ad una impossibile quasi remuntada. Non al Pd, non al denaro nè al cielo diceva De Andrè. Il tema allora potrebbe essere il seguente. Possiamo noi continuare come Psi come se nulla fosse o dobbiamo cercare vie nuove per affermare la nostra identità e sviluppare la nostra politica? Anche così il tema non sembra completo. Diciamo che nessuno penso si auguri una chiusura a riccio del nostro piccolo guscio. Siamo pochi. Pochissimi. E anche se mettessimo insieme, come si sente dire in giro, tutti i socialisti, tutti chi poi, come se non l’avessimo gia fatto nel 2007, saremmo ugualmente pochissimi. Dobbiamo cercare dunque nuovi interlocutori. Ma chi? E soprattutto mantenendo o no la nostra identitá e nome di socialisti? Attorno a noi che siamo terra piuttosto incolta non è che cresca molta erba. Il risultato dei radicali è davvero sconfortante. Altro non c’è, neppure il buon Giannino, finito nella grinfie di mago Zurlì. Possiamo noi pensare a una sorta di riedizione della Rosa nel pugno? Io sono stato uno dei più attivi nella ricerca di questa rinnovata buona alleanza. Il tempo passa in fretta. Anche se mai dire mai. L’altra via è quella di mantenere quel che di buono esiste in noi, quel che ci fa vivere ancora, quel che ci unisce nonostante i nostri pessimi caratteri, i nostri visi da ex un pò invecchiati e le nostre frequenti litigate. Un’identità, un nome, non sono il motivo per cui non abbiamo voti, e che se lo cambiassimo, allora, risolveremmo i nostri problemi. Tuttavia, certo, se si presentassero condizioni nuove, una lacerazione del Pd, o una nuova vitalità e disponibilità radicale, noi potremmo anche mettere in gioco noi stessi. Non è che vogliamo rimanere piccoli. Non abbiamo la sindrome del nano, che pure dicono sia in possesso di altre virtù. Anzi. Penso che dovremmo convocare gli organi, direzione e consiglio nazionale e poi il congresso, quando si sarà diradata la nebbia dell’incertezza governativa. E penso che si debbano separare le responsabilità parlamentari da quelle di partito. Siamo un piccola comunità. C’è bisogno di equilibrio e di solidarietà. Chi ha lo scranno parlamentare si dedichi ad esso, anche se adesso c’è l’ha e tra poco potrebbe non averlo più. Si dedichi per ora solo ad esso. Poi si vedrà. Questo non riguarda naturalmente il segretario che è stato eletto ad un congresso. Molte tossine potrebbero così essere riassorbite o diradate. Tra un anno ci sono elezioni europee, tra poco nuove prove elettorali. Non c’è un minuto da perdere. Nessuno pensa di diventare papa, ma di partecipare al Conclave da solo o accorpato con altri questo sì, questo a mio avviso continua ad essere necessario e doveroso. Non esiste in Italia un partito di sinistra liberale, che sia contro il conflitto di interessi di Berlusconi, senza per questo augurarsi il carcere per lui, e nel contempo contro quello dei magistrati che fanno politica, che sia laico e per i diritti delle donne, dei gay, di coloro che vogliono decidere come morire, e nel contempo attento e partecipe del messaggio cristiano di solidarietà e di equità sociale. Un assente non a caso, un grave assente della politica italiana, si chiami come volete, in quella seconda repubblica mai nata che noi abbiamo messo sotto processo e che è stata ammazzata da un comico. Forse perchè faceva davvero ridere. Ma non dalla gioia. Ridere dallo scherno e dal dileggio. E naturalmente noi abbiamo il diritto di non metterci a lutto.

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