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Marinati…

Doveva essere l’esponente giusto, quello che, contrariamente ad Amato e anche a D’Alema, avrebbe unito di più. È stato un tracollo. Definitivo, perché è vero che alla quarta votazione Franco Marini, coi voti di oggi, sarebbe eletto presidente della Repubblica. Ma eleggere un presidente dell’unità nazionale col 51 o poco piu dei voti sarebbe un controsenso. Ancora una volta l’epicentro della crisi è risultato il Pd. Tante sono le sue anime che a poco serve ridurle solo al contrasto furibondo tra renziani e bersaniani. Ci sono questi, ma ci sono gli emergenti giovani turchi ai quali tutto è concesso, ci sono gli ex democristiani che oggi saranno furenti, ci sono gli antiberlusconaini viscerali, che preferiscono perdere le elezioni e rimanere immacolati, piuttosto che fare un governo col cavaliere, ci sono i convertiti al grillismo che parlano solo del costo della politica e hanno votato Rodotà. E ci sono anche i prodiani. i veltroniani, i dalemiani, che parevano scomparsi. La verità è che il Pd non è neppure riducibile a un’anima sola, non ha tradizione, non ha collocazione europea, non ha una carta di valori omogenei. È formato da gruppi, da correnti, da frazioni che si fronteggiano senza mai adeguarsi alle regole di un partito politico. Quel che è successo ieri e oggi ha dell’inverosimile e rivaluta perfino i feroci contrasti presenti nella vecchia Dc, elevandoli a semplici differenze di opinioni. Sono volati insulti, minacce, altolà. Quasi militari. E alla riunione del gruppo dell’Italia bene comune è passata con 222 voti la proposta di lanciare la candidatura di Franco Marini tra contrasti di fuoco. Il corollario del nuovo patto elettorale bersaniano, e cioè che all’interno della coalizione dovesse valere la regola della maggioranza, e pare sia stata sottoscritta, non è valsa neppure per il solo Pd. Passi per Sel, che si è subito defilato e alleato ai grillini votando per Rodotà. Ma che la maggioranza del Pd sia divenuta addirittura minoranza in Aula, è davvero sconcertante. Mai si era verificato che autorevoli esponenti politici di un partito dichiarassero pubblicamente di non votare per il candidato scelto dal loro partito, ma per un candidato altrui. Mai era successo, addirittura, che coloro che all’interno del gruppo avevano votato a favore di Marini, in Aula gli votassero contro. Bersani deve prenderne atto. Oggi non solo è tramontata la candidatura di Marini, ma è tra tramontato anche il Pd. Almeno quello che finora abbiamo conosciuto. Troppo forte lo scempio che si è fatto del partito, per pensare che possa reggere ancora, come se nulla fosse accaduto.