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Cosa ci fa diversi dal Pd

Per anni si è insistito a sottolineare che la diversità socialista dal Pd fosse costituita dalla mancata appartenenza a pieno titolo dello stesso Pd al socialismo europeo. Quasi che non esistesse alcuna specificità italiana e che, una volta deciso un legame più stretto tra Pes, Is e Pd, fossero azzerate tutte le distanze. Non la penso così. La vera differenza è invece rappresentata dalla distanza che tuttora esiste tra Pd e socialismo italiano, il nostro socialismo riformista e liberale, quello che noi abbiamo elaborato e lanciato a partire dai primi anni ottanta. Paradossalmente, secondo gli assertori della prima tesi, dovremmo essere noi a disconoscerci e a rimarcare non già una differenza tra noi e il Pd, ma a evidenziarne solo una tra il Pd e gli altri. Intendendo per altri i socialismi dei paesi europei esclusa l’Italia. Dunque la nostra proposta al Pd dovrebbe essere semplicemente quella di eliminare le sue differenze dai socialisti francesi, dai tedeschi, dagli inglesi, e ognuno di questi partiti ha certo le sue peculiarità, ma non dagli italiani, che di peculiarità non ne avrebbero alcuna, ma che anzi mostrerebbero solo la più assoluta omogeneità con i socialisti degli altri paesi europei, pur non essendo questi ultimi, lo sottolineo ancora, omogenei tra loro. Certo esiste un partito che tutti li comprende e che in Italia comprende solo il nostro piccolo Psi. Come peraltro esiste un gruppo parlamentare a Strasburgo che comprende anche il Pd. E così pure esistono riflessioni in corso, come quella di Lipsia, per la stessa trasformazione dell’internazionale in un’associazione di partiti generalmente progressisti. La ruota europea non gira esattamente nella nostra direzione. La verità è che quel che rende diversi noi, quei pochi di noi che resistono in una piccola comunità orgogliosa, ma che non deve essere cieca e sorda, è ben condensato nelle parole di una anziana militante del Pd durante la campagna elettorale di Roma. Ha ben detto costei: “Io sono sempre stata del Pd”. Un partito nato cinque anni fa. Intendendo con “sempre”, la sua antica appartenenza al Pci, Pds, Diesse. E questa affermazione è esattamente in linea con le icone delle sezioni in cui campeggiano Berlinguer soprattutto e qua e là anche Moro. Il compromesso storico in un solo partito, come ha recentemente evidenziato Claudio Martelli. La nostra cultura liberalsocialista che c’entra, da chi dovrebbe essere rappresentata, da chi garantita? Non mi pare casa nostra, questa, ma solo un possibile rifugio, una tana nel momento in cui infuria la battaglia e ci sentiamo spuntati e senza truppe. Un modo per eleggere, quando dubitiamo che possiamo farlo da soli. Al massimo questo. Solo questo. La via nuova per noi deve essere un’altra. Difficile, anche pericolosa, perché può generare fallaci illusioni. Peraltro già sperimentata e messa inspiegabilmente in soffitta. Lo dissi a Boselli nel 2008. Lo pregai di non gettare a mare la Rosa nel pugno e di svolgere una costituente liberalsocialista anche coi radicali. Si preferì una costituente solo socialista per aggregare anche i dirigenti di una parte dei Diesse che contestavano l’adesione al Pd. E fu un errore. Si può ripartire di lì? Non vedo altre strade che non siano quella della resa definitiva e della sconfessione di noi stessi. E neppure lo star fermi continuando a crogiolarci in un nome magico può consentirci di vivere o anche semplicemente di sopravvivere. Anzi, l’orgoglio di un nome e di un simbolo, se non coniugati con una politica, rischiano di essere letali. Bisogna capire che la nostra piccola comunità ha bisogno di uno scossone, di una nuova stagione, se non vuole sparire definitivamente magari senza neanche capirlo. Come quella vecchietta di un’antica canzone di Brel che “era già morta e non se n’era neppure accorta”.