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Trenta e non più trenta

Il trenta luglio la Cassazione è convocata per emettere il verdetto definitivo sulla colpevolezza o meno di Berlusconi nell’affare Mediaset. Per la verità potrebbe anche rinviare la sentenza o chiedere una nuova procedura. È evidente che qualsiasi risultato differente dalla conferma della colpevolezza, quattro anni di detenzione e cinque di esonero dai pubblici uffici, suonerebbe come una sorta di sconfessione dell’operato dei giudici di Milano. E dunque in fondo come una conferma del teorema di Berlusconi sulle prevenzioni politiche dei giudici meneghini nei suoi confronti. Resta il fatto che se, in una prima fase, la convocazione della Cassazione, solo a poche settimane dalla sentenza dell’Appello, aveva destato sorpresa, sconcerto e dura irritazione nel Pdl, adesso i toni paiono più sfumati. Falchi e pitonesse sono in improvviso disuso e lo stesso Berlusconi annuncia che nessuna sentenza metterà in discussione il governo delle larghe intese. Un più moderato ottimismo affiora negli ambienti berlusconiani sulla possibilità di un ribaltamento della sentenza d’Appello. Facendo i conti sulle tendenze politiche dei magistrati, che compongono il collegio che esprimerà una così importante sentenza dagli inevitabili riflessi politici, risulterebbe che nessuno dei giudici della Cassazione appartiene alla corrente di sinistra della magistratura e cioè Magistratura democratica, e che dunque, tutto sommato, sarebbe meglio evitare di inoltrare una richiesta di rinvio. Come dire: potrebbe andare peggio con un altro collegio. Resta allora piuttosto discutibile questo gridare al complotto se chi giudicherà Berlusconi non può appartenere al complotto. Nessuna toga rossa, dunque. Certo questo potrebbe rassicurare Berlusconi che si dice innocente e i suoi combattivi avvocati, ma potrebbe rendere assai meno criticabile la sentenza emessa. Nessuno potrebbe a quel punto accusare la Cassazione di essere schiava della persecuzione giudiziaria. E di avere come unico proposito l’intento di eliminare Berlusconi per via giudiziaria. Contemporaneamente si interseca col percorso giudiziario la questione della presunta ineleggibilità di Berlusconi della quale si sta discutendo al Senato. Francamente mi appare una vicenda grottesca. Simile alle decisioni che le autorità del ciclismo assumono a dieci, quindici anni di distanza squalificando corridori che avevano vinto Giro e Tour. Se dopo vent’anni Berlusconi fosse dichiarato ineleggibile dovrebbero dimettersi e nascondersi tutti coloro che lo hanno giudicato diversamente per vent’anni. Dovrebbero togliersi di mezzo tutti coloro che hanno accettato la legittimità dei suoi diversi governi. La legge del 1957 assicurerebbe l’eleggibilità di Berlusconi. Cosa pensa di fare, allora, il Pd in preda come sempre a convulsioni interne? Pensa di cambiarla perché si trova nell’impossibilità di votare sì e nell’estrema difficoltà a votare no. E di rinviare l’eleggibilità di Berlusconi a una futura legge sul conflitto d’interesse. Peggio il tacòn del buso. E infatti il Pd si trova al centro di un attacco che gli proviene sia da destra che da sinistra. Non v’e dubbio che qualsiasi cosa decida la Cassazione il 30 luglio influirà sul quadro politico. Se Berlusconi verrà condannato non penso, al di là delle assicurazioni, che Letta avrà lunga vita, se Berlusconi verrà assolto o rinviato a futura prescrizione, il governo potrà tirare avanti. Nel primo caso Berlusconi griderà al golpe giudiziario (delle toghe bianche?), nel secondo sarà costretto a riconoscere che il golpe non è mai esistito.