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Renzikistan

Ha ragione il brillante giornalista Stella, che di casta politica se ne intende, a consigliare sul Corriere Renzi di guardarsi da se stesso. La sua enorme popolarità e il suo consenso conquistato con un tratto giovanile, libero e anticonformista rischiano di compromettersi seriamente e di annegare in un effluvio di dichiarazioni e di polemiche quotidiane e qua e là anche contraddittorie. Personalmente sono stato forse il più renziano dei socialisti impegnati a sostenere Bersani. Mi sono adeguato anche se pensavo che il sindaco di Firenze fosse la risorsa più interessante e innovativa da gettare nell’agone elettorale. La sua scelta di non demonizzare Berlusconi, che va battuto politicamente e non per via giudiziaria, la sua posizione sulla Fiat, quello schierarsi apertamente a favore del piano Ichino sul mercato del lavoro e il suo continuo richiamo a Tony Blair me l’avevano reso assai coerente col meglio delle elaborazioni del riformismo socialista degli anni ottanta. Avevo anche molto apprezzato la sua posizione post elettorale, il sano e razionale realismo che lo avevano indotto a diffidare delle torsioni di Bersani verso Grillo stimolando il suo partito a scegliere la sola via possibile, quella delle larghe intese. Da allora non l’ho più capito. O meglio, lo posso interpretare nell’unico modo possibile, e cioè come il vero contendente di Letta, che è visto come l’unico pericolo per la sua leadership. Mi sembra poco per giustificare una politica, che oggi è di costante sfida polemica nei confronti di un governo che egli stesso aveva stimolato a nascere. Tutto si muove in una logica Renzi-centrica. Non importa se la linea è opposta al suo pensiero di ieri, non importa se è collocata oggi alla sinistra del suo partito, mentre fino a ieri l’ex rottamatore si trovava dalla parte opposta della barricata. L’unico comun denominatore delle vicende che si susseguono pare sia oggi ciò che giova o meno alla sua leadership. Perfino la triste, inquietante vicenda del Kazakistan è interpretata, ed è assai difficile comprenderne le ragioni, come una lotta contro di lui. Un Renzikistan, dunque, col caso che esplode e viene gestito per indebolire non l’Italia, ma il giovin fiorentino. Così in tanti si interrogano se i renziani voteranno o meno la mozione di sfiducia ad Alfano al Senato. Come se non fossero anche loro nel Pd. Come se Pd e Pdl, lo ha ripetuto in una delle ultime sue esternazioni lo stesso Renzi, fossero la stessa cosa. Con Renzi che, come Farinata li guarda entrambi “in gran dispitto”. Magari trovandosi così sulle stese posizioni di Sel e dei grillini dai quali il sindaco di Firenze aveva invitato a prendere le distanze. La politica non può essere la lente per interpretare questi conflitti. È in gioco il futuro del centro-sinistra e la persona che lo guiderà. La lotta tra Letta, che Epifani ha già lanciato come candidato, e Renzi, che legittimamente aspira a quel ruolo, è appena cominciata. Se, magari, si potesse pensare innanzitutto agli interessi dell’Italia non sarebbe meglio? Gli italiani oggi sono più preoccupati di sapere chi tra Renzi e Letta sarà leader o del lavoro dei loro figli? Chiedetelo a Mannheimer…