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Continua la battaglia contro i biglietti nominativi. Andare allo stadio è quasi impossibile.

Prima del 1989 non c’era quasi nessuna normativa. La discussione sugli stadi in Italia comincia dopo la strage dell’Heysel del 1985. La prima sostanziale disposizione è quella relativa alla numerazione dei posti a sedere e la conseguente abolizione di quelli in piedi, nonché alla necessità di prevedere spazi riservati al pubblico ospite, che risale appunto al 1989. Poi il decreto del 1996 sulle modalità di costruzione e ristrutturazione degli impianti e i decreti Pisanu dei primi anni duemila, nonché il decreto Amato del 2005, convertito nel 2006, coi necessari decreti attuativi e circolari, più volte reiterate, che rivoluzionano tutta la normativa precedente. Questi ultimi decreti introducono i biglietti nominativi, la video sorveglianza, la necessità dei tornelli, il ricalcolo dei posti, le aree di servizio, la presenza degli steward, e altri orpelli. Infine il decreto Maroni introduce la tessera del tifoso, obbligatoria per l’abbonamento e le trasferte. La situazione é andata avanti parallelamente alla diffusione delle tv a pagamento con partite in diretta televisiva e con il mancato adeguamento degli impianti alla nuova situazione che avrebbe richiesto una più adeguata accoglienza del pubblico. Oggi uno sportivo che vuole andare allo stadio cosa deve fare? Può fare l’abbonamento nominativo, sottoscrivendo la tessera del tifoso (che è necessaria per seguire la squadra in trasferta, ma solo per i residenti nella città ove la squadra ha sede, anche questo è davvero paradossale), presentando la carta di identità o altro documento di riconoscimento e il suo codice fiscale. Poiché l’abbonamento è nominativo in teoria non può essere ceduto ad altri. In realtà lo può essere solo alcuni giorni prima della gara presentando alla società tutti i dati dell’eventuale richiedente. Cosa che quasi mai avviene. Dunque capita spesso che diversi abbonati manchino alle partite e i dati censiti dal presidente dell’Udinese Pozzo sono a tal proposito davvero sconcertanti e segnalano punte che di poco superano il cinquanta per cento delle presenze degli abbonati. Se uno sportivo vuole invece acquistare un biglietto inizia un iter particolarmente faticoso. Lo può fare via internet, ma deve ugualmente presentarsi alle biglietterie il giorno della partita. Se vuole, può acquistare il tagliando durante la settimana nei locali adibiti presentando sempre un documento con i suoi dati. Ma lo sportivo che andava una volta allo stadio decidendolo alla domenica, quello appassionato, ma non tifoso, che sceglieva in base alla predisposizione del momento, costui deve rinunciare. Dovrebbe presentarsi ai botteghini dello stadio con due ore di anticipo, aspettare il suo turno, ben sapendo che un biglietto nominativo deve essere compilato in qualche minuto e richiede tutti dati dell’acquirente. Mettiamoci anche il fatto che arrivare allo stadio è sempre più complicato e che le questure ci mettono del loro con una serie di divieti che impongono di parcheggiare l’auto a volte anche a un paio di chilometri dall’impianto e che poi il fortunato acquirente deve sottoporsi prima ai prefitraggi, esibendo tagliando e carta di identità, alle perquisizioni con metal detector, poi ai tornelli, e comprendiamo come le persone normali decidano in Italia di disertare gli stadi e di guardarsi le partite in televisione. Possiamo così concludere che i biglietti nominativi, che esistono solo in Italia nell’intero panorama europeo e che dovevano indurre a star fuori dallo stadio i tifosi più pericolosi, hanno dato a questi ultimi la possibilità di entrare, perché nessuno di loro rinuncia alla gara anche a costo di arrivare allo stadio di notte, ma hanno spinto le brave persone, le famiglie, i bambini, a starsene comodamente seduti in salotto. Bel risultato, non c’è che dire. Così in Italia, unico caso nel panorama europeo, anziché incentivare gli sportivi a recarsi allo stadio, li si disincentiva, e li si induce a disertare, con grande soddisfazione di tutti gli enti, dall’Osservatorio, ai Gos, ai comitati di vigilanza, alle questure e alle prefetture e perfino ai comandi dei vigili urbani che continuano a concepire una partita di calcio come una potenziale guerra civile. Ben sapendo però che dentro gli stadi non si sono mai verificati incidenti mortali dal 1979, in occasione del derby Roma-Lazio, morte di Paparelli (e da quell’anno al 2006 i biglietti non sono stati nominativi). Tutti gli incidenti mortali si sono verificati, invece, fuori dagli stadi. Citiamo quelli di Marco Fonghessi nel 1984 prima di Milan-Cremonese, di Antonio De Falchi nel 1989 prima di Milan-Roma, di Vincenzo Spagnolo nel 1995 prima di Genoa-Milan, di Fiippo Raciti nel 2007 dopo Catania-Palermo, e in quell’anno anche di Gabriele Sandri in viaggio per Inter-Lazio, infine, l’anno dopo, di Matteo Bagnaresi in viaggio per Juventus-Parma. E che si è fatto? Si è militarizzato l’interno degli stadi. Davvero meraviglioso.