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Renziade

Dirò quello che di Renzi non mi convince, dopo aver detto quello che mi piace. Di lui mi attraggono tre cose. La prima è il coraggio, la tempra del combattente, la capacità di sfidare gli avversari interni e di attrarre consenso anche da parte di quelli esterni. Renzi è il tipico prodotto post ideologico che vuole affermarsi sulle cose da fare e questo è nuovo, questo è positivo. La seconda cosa è quello sfidare le convenzioni, quel ribellarsi ai dogmi del passato, che troppo hanno condizionato in Italia la sinistra ideologica e che noi del vecchio Psi abbiamo per primi messo in discussione. Naturalmente Renzi appare così nelle vesti del nuovo Blair, ma anche di un altro suo predecessore che non intende certo nominare. Le sue ricette sul piano economico, che ricordano molto di piu le intuizioni di Ichino che non i paradigmi di Landini, ne sono esempio eloquente. La terza è di non appartenere alla vecchia nomenclatura comunista e postcomunista. Intendiamoci. Mica è un reato aver fatto parte del Pci. Vi sono dirigenti ex comunisti come Macaluso, e non è il solo, diventati socialisti democratici e nostri amici. Ma è difficile essere credibili nel dirigere un Partito democratico se si è stati parte integrante del cerchio dirigente del vecchio Pci, perché si finisce inevitabilmente per offrire argomenti, sia pur pretestuosi, alla polemica della parte opposta. Passiamo alle perplessità. La prima e la più evidente è inerente il vezzo di scambiare il mezzo coi fini. Renzi è l’uomo delle primarie. Prima da sindaco poi da premier e adesso da segretario, domani magari ancora da premier. Vive in una sorta di estasi ininterrotta da primarie. Ma le primarie sono solo uno strumento per affermare una leadership. Quel che conta è il dopo. Cioè come si esercita la leadership conquistata. Mi manca naturalmente ancora questo passaggio. E mi preoccupa l’inizio. Che si preannunci, ad esempio, con un “da domani ci divertiamo” l’approccio a una fase drammatica, costellata da decisioni anche impopolari che l’Italia deve assumere, mentre tutt’intorno la miseria si allarga e monta la tensione. Altro che divertimento. La politica non è una giostra. È un dovere civico pesante. Non è fatta solo di sorrisi e di sfide vinte, ma anche di lacrime e di quell’altro ingrediente spesso ricordato acidamente dal nostro Formica. Poi non condivido il suo rapporto col passato e con la storia. La rottamazione è il termine più violento per inneggiare al rinnovamento. E il suo desiderio di gettare a mare tutto ciò che è successo e vissuto prima di lui, mi pare perfino stupefacente. E così quello circondarsi solo di visini giovani e dolci, di vecchi compagni di scuola e di ragazzi incontrati nel luogo sacro della Leopolda. Quello vivere esteticamente la politica è strano modo di selezionare una classe dirigente. Ancora una volta eletta dal capo. E così a me pare che il partito renziano rischi anch’esso, e per ultimo, di mostrarsi un partito all’incontrario. Dove il leader nomina i dirigenti. Non la base attraverso i congressi. Mi ricorda molto la genesi di un altro partito. Ma forse mi sbaglio…