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La scissione socialista dell’11 gennaio del 1947

Sono trascorsi sessantasette anni. Ma la scissione dell’11 gennaio 1947 determinò gran parte dello sviluppo del socialismo italiano. Oggi tutti, anche coloro che provengono dalla tradizione comunista, accordano a Giuseppe Saragat quelle ragioni per troppo tempo negate. Resta il fatto che in quel frangente Saragat, che voleva la scissione assieme ai giovani di Inziativa socialista, mentre i vecchi di Critica sociale, a cominciare da D’Aragona, Modigliani, Mondolfo, Faravelli e dallo stesso Simonini, erano di opinione diversa, compì una scelta minoritaria e tale la sua posizione resterà nel panorama politico italiano nei decenni successivi. Giuseppe Saragat fu l’unico grande leader politico socialista a comprendere in quel dopoguerra la natura del comunismo. Filippo Turati e Camillo Prampolini, già subito dopo la rivoluzione bolscevica, contestarono il leninismo, l’assurda dittatura del proletariato, l’uso della violenza nella lotta politica, ma anch’essi finirono in minoranza nel biennio 1919-1921. Lo erano peraltro già a partire dal congresso del 1912, quando il rivoluzionario Benito Mussolini decretò l’espulsione dal partito dei cosiddetti riformisti di destra (Bissolati, Bonomi, Cabrini), troppo inclini a sostenere Giolitti anche dopo l’inizio della guerra di Libia. I riformisti erano dunque storicamente in minoranza nel Psi. Nel 1947 il fascino della rivoluzione d’ottobre si era ulteriormente corroborato con l’eroico impegno dell’Urss, prima nella guerra di Spagna alla fine degli anni trenta, poi nella sconfitta del nazismo con la sanguinosa e vittoriosa resistenza all’operazione Barbarossa. Così Saragat, che pure aveva visto giusto, non aveva convinto i più. Il congresso del Psiup (si chiamava così il partito che riprenderà il vecchio nome di PSI solo dopo la scissione) si aprì con una drammatica contestazione della regolarità dei risultati, che venne affidata proprio a Matteo Matteotti, figlio del martire che contestò ben altri risultati e ci rimise la vita. Quando il congresso iniziò alla Città universitaria una parte dei delegati già si era spostata a Palazzo Barberini. Era l’inizio d’anno del 1947. Nenni, Morandi, Basso non avevano accettato le conclusioni del congresso di Firenze, svolto nella primavera dell’anno precedente,  che aveva assegnato l’imprevista vittoria a un’area politica moderatamente autonomista, imperniata sull’apporto non solo di Saragat, ma anche di Sandro Pertini. Segretario era stato eletto Ivan Matteo Lombardo, che tutto era meno che un leader poetico. Nenni era stato confinato alla presidenza del partito. Il congresso di Roma aveva segnato il netto capovolgimento della situazione, anche a causa del fenomeno dell’infiltrazione di comunisti nel Psi della quale parlarono con dettagliati riscontri Bruno Corbi e Fabrizio Onofri. Anche Sandro Pertini si era spostato su altra posizione, avvinto dalla suggestione di continuare la politica del patto d’unità d’azione coi Pci, che alle elezioni dell’aprile del 1948 diverrà anche fusione in un’unica lista elettorale su impulso di Nenni. Saragat e i suoi (aderirono al nuovo partito i figli di Matteotti, di Treves, la figlia di Prampolini, la storica sezione di Molinella di Massarenti e quasi l’intero ceppo pre fascista del partito) ritirarono, dopo la scissione, l’appoggio al governo di unità nazionale. Era il prezzo, questo, che Saragat doveva pagare alla posizione estremista dei giovani di Iniziativa socialista. Bonfantini. Zagari, Libertini, sognavano infatti un partito socialista di sinistra impossibilitato a contrarre accordi con la Dc, ma autonomo dai comunisti, che spesso contestavano perché troppo moderati.. Era una posizione anche giustificata, ma astratta. Non faceva i conti con i rapporti di forza reali che esistevano allora in Italia. Il Psli, che nacque allora, e si chiamò come il partito nel 1893, quando a Reggio Emilia assunse la qualifica di socialista e l’aggiunse alla sigla di Partito dei lavoratori, acquisita l’anno prima a Genova, comprendeva così dalla nascita due tendenze politiche non facilmente omologabili: quella moderata e riformista e quella di sinistra e autonomista. Quando la seconda prevalse, dal 1947 al 1948, poi dal 1952 al 1954, il partito di Saragat sarà all’opposizione dei governi centristi, quando invece prevarrà la prima, e cioè in gran parte degli anni di vita del partito, il Psli, poi diventato Psdi nel 1952 dopo l’unificazione col gruppo di Giuseppe Romita, sarà partito di governo. Il Psdi si unirà col Psi nel 1966, dopo che già dieci anni prima Pietro Nenni, distaccatosi dai comunisti dopo il ventesimo congresso del Pcus e soprattutto dopo l’ottobre ungherese, si era incontrato a Pralognan con Saragat per riunire i socialisti. Nel luglio del 1969 nuova scissione con Nenni in minoranza nel PSI guidato da De Martino, Mancini e Giolitti. Nel 1989 una nuova unificazione nel Psi di una parte di socialdemocratici e poi la fine del sistema politico italiano. Nel 1998 nasce lo Sdi che mette insieme frammenti dei due partiti. E oggi il Psi, che dopo la Costituente del 2007 eredita entrambe le tradizioni. Purtroppo ridotte all’osso mentre altri sono alla ricerca di un’identità perduta.