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Quando Prampolini e De Felice rovesciarono le urne alla Camera

8 Febbraio 2014 1.142 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Era l’estate del 1899. L’anno prima il generale Bava Beccaris aveva sparato sulla folla affamata a Milano, provocando decine di morti, Turati e la Kuliscioff erano stati arrestati, poi il presidente del Consiglio di Rudinì era stato costretto alle dimissioni. Ma al suo posto era stato nominato un generale reazionario, Luigi Pelloux, favorevole all’amnistia per i detenuti politici, ma assertore di leggi ancor più repressive. Tanto che socialisti, i radicali, i liberali progressisti le osteggiarono usando anche l’arma dell’ostruzionismo. Quando il governo annuncia che le leggi sarebbero state approvate di fatto entro il 20 luglio a prescindere dal voto della Camera, nella seduta del 30 giugno succede di tutto. Si chiede a più riprese la votazione del verbale della seduta precedente, ma il presidente di turno la nega e l’approva senza sottoporla al voto, come da regolamento. Il presidente intanto fa votare tre leggi di bilancio violando il regolamento che imponeva in limite di due. Ormai lo Statuto e anche il regolamento vengono calpestati. Si ritorna alla questione del tipo di votazione delle leggi e il presidente sceglie quella per alzata di mano coi deputati che dovevano andare a votare, scendendo le scale dell’Aula, in apposite urne. A questo punto i socialisti Giuseppe Giuffrida De Felice e Camillo Prampolini invadono l’emiciclo e mentre protestano a gran voce col presidente, rovesciano le urne nel tumulto generale. La confusione è  all’apice con spinte, urla e anche cazzotti. La sedute viene sospesa. Poco dopo Pelloux comunica di aver sospeso i lavori parlamentari e di aver chiusa la sessione della Camera. Nei primi giorni di settembre del 1899 il procuratore del re presso la corte d’Appello di Roma spicca mandato di cattura contro i quattro deputati socialisti presenti, colpevoli di avere impedito l’espletamento di una delle principali funzioni della Camera. Il reato prevedeva fino a 12 anni di carcere. Leonida Bissolati e Giuffrida De Felice avevano fatto in tempo a riparare all’estero, Oddino Morgari a rifugiarsi a San Marino, Prampolini era invece tornato a Reggio Emilia, specificando al procuratore di assumersi l’intera responsabilità del suo gesto. Il deputato reggiano viene arrestato poco dopo. Resta poi in carcere in attesa del processo che è fissato per il 30 ottobre. Viene poi emesso un decreto governativo per sospendere il processo e rimettere in libertà i detenuti politici, compreso quel Macola che aveva intanto ucciso Felice Cavallotti in un duello, e dunque anche Prampolini, dopo un mese passato a Regina Coeli, ritorna in libertà. Nella memoria difensiva che Prampolini aveva preparato per il processo che non si fece, emergono i concetti fondamentali del suo insegnamento. Egli scrive: “Quando qualcuno vuole penetrare in casa vostra, allora la semplice protesta non basta più. E voi siete obbligati a difendervi colla forza e tanto piu virile e degna è la vostra difesa, quanto maggiore è il numero degli assalitori. Ora, questo è appunto quel che facemmo noi. Noi fummo assaliti nella nostra casa, cioè nel nostro diritto consacrato dal regolamento, e ci siamo difesi. Fu unicamente il sentimento di questo dovere che mi mosse, non fu l’ira. Resistere all’arbitro non è che una forma di rispetto e di ossequio alla legge”. Prampolini si erge a difesa della legalità e per questo compie un atto di forza. Solo per difendere un diritto. Questa consapevolezza che la violenza, anche semplicemente manifestata con un atto di forza, può essere usata solo per difendersi da un sopruso sarà la costante della sua vita. Quella di riformista, di democratico, di non violento. Il piu mite e anche evangelico, tra i socialisti del suo tempo, che si rivolta per impedire la violazione di un diritto, é una prova della sua più assoluta coerenza democratica. Come quando osserverà, dopo la rivoluzione bolscevica, che la dittatura del proletariato era un non senso. Essendo il proletariato la maggioranza, non ci può essere dittatura della maggioranza. Occorreva semplicemente convincere e unire la classe dei lavoratori. E poi nemmeno la maggioranza può opprimere la minoranza. Deve rispettarla e garantirle tutti i diritti. Prampolini era su questo un socialista liberale. Come osserva Popper “il liberale ama la libertà e la tolleranza. Tuttavia egli è tollerante con i tolleranti, ma intollerante cogli intolleranti… Se non siamo disposti a difendere una società tollerante dagli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e con essi la tolleranza”. Ogni riferimento al presente è puramente casuale.

 

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