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Ma che succede in Iraq?

Pare che il destino degli Usa sia segnato. Ogniqualvolta decidono una guerra di invasione, sia pure nobilitata dalla scelta di esportare la libertà, la perdono. Accadde in Vietnam, prima ancora in Corea, oggi rischia di essere la stessa cosa in Iraq, mentre in Afghanistan la situazione è ancora parecchio ingarbugliata. Diversa cosa quando la guerra è di liberazione, vedasi il secondo conflitto mondiale, e nel 1991 la guerra in Kuwait. Sembra però che gli insegnamenti non siano serviti a nulla. In particolare la crisi irachena ha preso una brutta piega. Quasi declinata come conflitto religioso tra sunniti e sciiti, gli eserciti al comando di Al Kaeda, e sostenuti dalle milizie sunnite un tempo fedeli a Saddam, hanno ormai preso possesso del nord del Paese, sostenuti, a quanto si scrive, dalle popolazioni e si apprestano a sferrare un attacco cruciale verso Bagdad.

Le ultime notizie fornite dal generale Qassem Atta, portavoce per la sicurezza del primo ministro Nuri al Maliki, parlano di una controffensiva delle forze governative che avrebbe fermato l’avanzata delle forze jadiiste. Pare che migliaia di volontari in particolare sciiti, si siano uniti negli ultimi giorni alle forze armate per respingere l’offensiva dei ribelli, spintisi fino a conquistare l’intera provincia di Ninive col suo capoluogo Mosul e parti delle province di Salahuddin, Kirkuk e Diyala. Naturalmente gli stessi Stati uniti non sono fermi e stanno fornendo tutto l’aiuto necessario, compresa la possibilità di uso dei droni. Le notizie che appaiono sul web e sui giornali sono terrificanti. Ben 1700 soldati sono stati ammazzati brutalmente con fucilazioni improvvisate delle milizie sunnite, tanto che lo stesso Pontefice oggi ha voluto ricordare gli avvenimenti irakeni, mostrando tutta la sua apprensione e preoccupazione.

Intanto a Bagdad continuano a esplodere bombe. Anche ieri un nuovo attentato suicida ha mietuto quindici vittime. Si contano a migliaia i morti, a guerra finita, nella città irakena. Una nota positiva pare la ritrovata armonia tra governo iracheno e iraniano. Quest’ultimo ha già fatto sapere di essere orientato a partecipare alla resistenza contro i terroristi sunniti. Si tratta in fondo di interesse etnico e religioso. E questo senza porre veti all’eventuale convergenza politica e militare con gli stessi Stati uniti. Tanto che si annuncia un’incontro a Vienna di delegazioni dei due paesi, fino a poco fa in conflitto grave e prossimo a degenerare, sulla questione degli armamenti atomici.

Tutto sbagliato dall’intervento, dunque? Se si dovesse ultimare la guerra passando da Saddam ad Al Qaeda, con un costo di vittime e di dollari davvero ingente, verrebbe voglia di dir di si. Ma Tony Blair, difensore dell’intervento al quale il suo paese ha partecipato anche militarmente, sostiene di no. A suo giudizio è tutta colpa dell’inazione in Siria. È lì che si sono formate le sacche di resistenza e dalla Siria sono poi partite per la conquista dell’Iraq. Tutta colpa di Obama, dunque, non di Bush. E detto da uno dei più autorevoli esponenti del socialismo europeo l’affermazione non ha mancato di far scandalo.