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Se Sanchez si ispira a Gonzalez e a Renzi…

Il nuovo segretario del Psoe, il giovane Pedro Sanchez, appena quarantaduenne, é il nuovo segretario del Psoe, dopo la sconfitta elettorale dei socialisti spagnoli alle elezioni europee. Unico caso in cui il principale partito di opposizione affonda assieme al principale partito di governo. Le dimissioni del vecchio segretario Rubacalba sono state immediate. Quest’ultimo rappresentava un ritorno al pragmatismo dopo la fase giudicata eccessivamente ideologica di Zapatero. Sanchez pare in questo una via di mezzo. Ma lo distinguono anche una grande capacità di comunicare, dovuta anche, dicono, alla sua particolare avvenenza, e la grande vittoria ottenuta alle “primerie” (lo scrivo in spagnolo, non in barese…).

Sanchez non ha avuto dubbi e ha esplicitamente dichiarato di ispirarsi a Felipe Gonzalez e a Matteo Renzi. Il primo, grande padre del Psoe, aiutato e sostenuto dai socialisti italiani e da Craxi in particolare durante a fase dell’esilio, e poi leder incontrastato del Pose e presidente del governo iberico. Il secondo, giovane anche più di Sanchez, anch’egli trionfatore alle primarie e, diversamente dal vecchio segretario del Psoe e da quasi tutti quelli dei partiti socialisti europei, trionfatore anche a livello elettorale. Niente da dire. I punti di riferimento di Sanchez sono giustificati. Lo dico anche a quei compagni che pensano di costruire un partito socialista in Italia diverso e addirittura conflittuale con il Pd di Renzi. O che giudicano Renzi alla stregua di un usurpatore.

L’Avanti non ha certo evitato di criticare a volte anche aspramente alcune proposte di Renzi. Sull’Italicum credo di aver speso le parole più dure. Anche sulla riforma del Senato mi pare che non siano mancati accenni critici e valutazioni non certo coincidenti con quella del Pd e anche con quelle che fanno capolino nel nostro piccolo partito, che ogni tanto pare un po’ troppo preoccupato di non disturbare il manovratore. Ma sulla strategia di fondo non ho dubbi. Bisogna prendere atto della realtà. Se ciò che ci fa vivere (ma anche su questo a Venezia mi sono permesso di esprimere più di un dubbio) è solo l’identità socialista europea, allora siamo un grumo che resiste, ma la battaglia è già stata vinta.

Non so se qualcuno si ricorda di Giuseppe Saragat quando si presentava ai congressi socialdemocratici con la V in segno di vittoria. Eppure il suo partito, il Psdi, aveva solo il due per cento. Saragat aveva vinto sul piano politico perché le sue idee di un socialismo democratico e antitetico a quello dell’Urss avevano ormai oltrepassato i confini del suo partito e si erano radicate in tutta la sinistra. Anche noi possiamo cantare vittoria e non dobbiamo assolutamente ammainare bandiera bianca, perché oggi il Pd di Renzi, contrariamente a quello di Veltroni, Franceschini, Bersani ed Epifani, è diventato un partito socialista. Anzi il più forte dei partiti socialisti d’Europa. E un punto di riferimento per importanti soggetti della tradizione socialista europea. Mica dobbiamo dolercene proprio noi che lo abbiamo sempre auspicato.

Semmai il problema che resta aperto è quello del rapporto del Pd di Renzi con la tradizione socialista italiana. È qui che ogni tanto la catena si inceppa. Abbiamo recentemente assistito a una sorta di beatificazione di Enrico Berlinguer, che socialista non è mai stato né in Europa né in Italia. Di lui si può lodare lo strappo dall’Unione sovietica che data 1981, e prima la politica di unità nazionale, la lotta al terrorismo, la svolta nella politica economica che va però attribuita a Luciano Lama durante quegli anni. Ma non si possono dimenticare l’appoggio all’occupazione della Fiat, il referendum sulla scala mobile, il suo ancoraggio intellettuale a una filosofia antiriformista, più conciliabile con la tradizione della sinistra cattolica che con quella del socialismo democratico. Se noi continuiamo a resistere è anche per questo. Perché non esiste solo il socialismo europeo, ma anche il socialismo italiano, la sua storia, i suoi personaggi, che non possono restare sospesi, se non dimenticati. Perchè ci vuole pur qualcuno che si accorge che la catena si inceppa. Meccanici di idee, difensori di una storia, coerenti come nessuno. È attenti ai problemi dell’oggi, della giustizia, della democrazia.