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Il decretone Salva Italia

17 Agosto 2014 1.523 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Non c’è più tempo da perdere. È inutile minimizzare. Secondo i calcoli del duo Giavazzi-Alesina (che non sono l’Oracolo di Delfi, ma due autorevoli economisti) esiste un caso Italia nella crisi europea. L’Italia è infatti il paese che ha perso più punti di Pil dal 2008. Ben otto, contro i sette della Spagna, mentre la Francia ha perso nulla e la Germania è salita di quattro. Non può reggere una nazione col 43 per cento di disoccupazione giovanile e un debito salito al 133 per cento del Pil. Bisogna muoversi subito con gli strumenti legislativi a disposizione, altrimenti anche il terzo trimestre del 2014 sarà negativo e il debito salirà ancora a causa della recessione.

Se il governo predispone disegni di legge di settore ci vorranno minimo due, tre mesi per approvarli. Dovranno iniziare i lavori in commissione, poi si passerà all’Aula per l’approvazione degli emendamenti e poi sarà la volta del Senato per analogo rito. Se il Senato approverà modifiche si tornerà alla Camera mentre si consumeranno altri dati negativi sull’economia e l’occupazione. L’unica via è agire per decreti, che sono immediatamente esecutivi, e per fiducia ai fini di convertirli in legge entro il limite fissato. Si dirà che non è il metodo più democratico. Il decreto deve contenere i presupposti di necessità e di urgenza.

Ma non c’è niente di più necessario e urgente di un decretone “Salva Italia”. Non c’è niente di più giusto di un intervento immediato per l’emergenza economica e sociale del nostro paese. Certo si tratterebbe di un provvedimento con dispositivi plurimi. Ma cos’erano i decreti Bersani, le cosiddette lenzuolate che contenevano un po’ di tutto? Un decretone che contenga normative nuove sull’economia, sul lavoro, sul fisco, sulla giustizia. Vedo che il 29 agosto il governo pensa a una misura analoga per giustizia, appalti e scuola. Bene, ma non basta.

Quel che occorre è intervenire subito, rinviando poi a leggi di settore più organiche, sul mercato del lavoro, con l’introduzione del contratto unico a tutele crescenti, aggirando così il totem dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, che se abrogato sic et simpliciter produrrebbe la solita furia iconoclasta della Cgil, magari valutando gli effetti sull’occupazione dopo un anno, una misura seria di prelievo ai fini di giustizia delle pensioni e degli stipendi più alti, valutando anche l’ipotesi di quel prelievo percentuale che il governo Amato fu costretto a fare nel 1992 sui depositi bancari (la chiamassero pure patrimoniale), anche se un intervento occasionale e non strutturale mi lascia perplesso, la diminuzione di un minimo di due punti della pressione fiscale sul lavoro e le imprese, il divieto assoluto dello sciopero nei servizi laddove esista la possibilità di creare un danno ai cittadini (mi dispiace ma i lavoratori di un aeroporto e i bagnini di una spiaggia non possono allontanare dall’Italia il turismo straniero), la velocizzazione della giustizia civile, e altre norme ben conosciute nel settore.

Capisco tutte le obiezioni. La prima è che un provvedimento simile potrebbe essere bloccato dal presidente della Repubblica. Ma se la sentirebbe Napolitano, dopo gli elogi a Renzi e la sua spinta a fare cose, di impedire che velocemente si possa intervenire per tentare di bloccare la crisi italiana? La seconda è che ogni materia singola merita adeguate consultazioni, o addirittura concertazioni. Non è il tempo. Non c’è settore toccato che non troverebbe ostacoli se non impedimenti. La corporativizzazione dell’Italia produce solo conservazione di privilegi. È ora di capire che bisogna invece incidere sui privilegi col bisturi, per risolvere il caso Italia. Con una visione d’insieme che è il contrario dell’esclusiva visione di settore. Se i professori universitari, i magistrati, i manager pubblici, perfino i più alti stipendiati della Camera, continuano a difendere loro stessi, sappiano che lo fanno contro gli interessi della collettività. La terza è che probabilmente un decretone simile porterebbe l’Italia a sforare il tre per cento. Ma i burocrati europei se la sentirebbero di bloccare un atto clamoroso che alla fine produrrebbe una forte diminuzione del debito e una crescita effettiva? Provassero…

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