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Confucio e l’Italia

4 Settembre 2014 1.238 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Una grande massima di Confucio recita così: “Se cerchi una mano disposta ad aiutarti la puoi trovare alla fine del tuo braccio”. Mi pare che ben si attagli all’Italia di oggi. A prescindere dai vincoli, dall’Europa, dalla Bce, il nostro Paese vuole o no risolvere i suoi problemi che non sono di oggi, ma che si aggravano ogni giorno di più se restano irrisolti? Se abbiamo il debito in rapporto al Pil più alto d’Europa, Grecia esclusa, di chi è la colpa? Se abbiamo, contrariamente alla Spagna, ancora un segno meno sullo sviluppo nel primo semestre del 2014, di chi è la colpa? Se abbiamo la disoccupazione così alta (è quasi al 13 per cento) e un giovane su due non trova lavoro (al Sud due si tre), di chi è la colpa?

E quando parliamo dei vincoli, e in particolare del 3 per cento nel rapporto tra deficit annuo e Pil non ci chiediamo chi ha sottoscritto Maastricht e perché, negli anni seguenti, l’Italia non ha messo in discussione quel parametro, chiedendone ufficialmente una revisione? È vero. La politica del rigore si è dimostrata fallimentare. Non ci voleva un genio per capirlo. Il rigore se applicato anche agli investimenti produce meno sviluppo e dunque alza il debito in rapporto al Pil, che i governi Monti, Letta e anche Renzi, hanno solo visto aumentare. È vero. Né la Bce né l’Europa possono impartirci ordini e nemmeno fare per noi scelte economiche. Soprattutto fino a che manca l’Europa politica, con veri ministeri europei che decidono, compreso quello dell’economia. Ma se tutti ci dicono la stessa cosa, e cioè che l’Italia deve fare le riforme e in particolare abbassare le tasse, cambiare le regole del mercato del lavoro, tagliare la spesa, vuoi che tutti siano in errore e noi nel giusto?

Guardiamo la mano alla fine del nostro braccio e cerchiamo quella prima di chiedere quella degli altri. C’è tanto lavoro da fare. Io credo ancora che Renzi meriti fiducia. Ma a tempo. Mi spaventa, del fondo di Polito sul Corriere di oggi, dove il noto editorialista elogia il passaggio dalla fretta renziana alla più ponderata e saggia lentezza, quella scansione dei tempi sul Jobs act. Annunciata per settembre la legge delega, pare che la conclusione arrivi solo a fine dicembre, per essere applicata solo alla primavera del 2015. Siccome le previsioni dei tempi sono sempre ottimistiche diciamo che ci vorrà almeno un anno. Va bene tralasciare l’enfasi della svoltabuona, delle slide che trasformano il mondo, dei cento giorni per cambiare l’Italia. Però siamo in una situazione eccezionale. Non si può passare mesi e anni a cincischiare sperando che l’Europa ci aiuti.

Nessuno ci aiuterà se non sapremo farlo da soli. Le ricette sono sempre le stesse. Tagliare la tasse, e corposamente, anche uscendo dal vincolo del 3 per cento, tagliare la spesa per quel che si può, senza enfatizzare i due soldi risparmiati da un Senato che non sarà più elettivo e remunerato e dall’eliminazione dei consigli e delle giunte provinciali (delle auto blù e meglio non parlare per carità di Dio). E cambiare le norme che regolano il mercato del lavoro. Ma ci rendiamo conto che con l’applauso dei sindacati la Fornero ha fatto l’esatto contrario di quello che si può, si deve, si vuole fare adesso, se si imita il modello tedesco? Mi fanno un po’ ridere le obiezioni. Viviamo in una situazione in cui il lavoro sfugge, non c’è, ed è riservato a pochi. E noi irrigidiamo le assunzioni, le blindiamo da regole buone in una fase di sviluppo, come appunto era quella di cinquant’anni fa. E siamo sicuri di aver fatto l’interesse degli italiani. Pazzia.

Non c’è che dire. Siamo geni. Se l’Italia ha rinnovato la sua classe dirigente, in base a quel principio che si applicava all’automobile, e cioè della rottamazione, che personalmente ho sempre considerato offensivo perché equipara un uomo a una macchina, si rottamino le idee. Le idee devono essere nuove. Perché uomini nuovi con idee vecchie sono come carrozzerie con motori antichi, per restare al tema. Anche Landini è relativamente giovane e mi pare sensibile al tema del cambiamento. I metallurgici in Germania sono stati protagonisti della fase di passaggio dal vecchio al nuovo regime del mondo del lavoro. Non dimentichiamo che in Italia non esiste la cogestione, dunque la responsabilizzazione degli operai e degli impiegati nelle scelte aziendali, e che su questo piano molto si potrebbe fare anche da noi. Nuovo non significa peggio. Mi spaventano alcuni commenti, anche dei nostri, che temono che i lavoratori facciano un passo indietro. Io vorrei innanzitutto che i disoccupati facessero un passo avanti. Sono troppi, troppe famiglie in difficoltà, troppi giovani costretti a lasciare l’Italia. Continuiamo a conservare l’esistente e a pensare che sia tutta colpa dell’Europa e sarà sempre peggio.

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