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Un’ora sola ti vorrei…

7 Ottobre 2014 907 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

La vecchia canzone l’ha intonata ironicamente la Camusso. Devo dire la verità. Renzi a volte è davvero insopportabile. Va in tivù e sostiene che la concertazione è una noia. Quel tavolo verde dove si chiacchiera soltanto, robaccia del passato. Poi sfodera la scimitarra. E rilancia: “Fregheremo chi tifa contro”. Sottolinea che da trent’anni in Italia non si fa nulla. Prima erano solo venti. Ma dieci di più cosa costano? Viene una forte nostalgia perfino di Forlani, il coniglio mannaro, e di quel sussiegoso rispetto per tutti, di quel parlare sottovoce anche a chi lo contestava. D’altronde il mondo è cambiato e anche il linguaggio, se perfino nel Sinodo si è chiesto ai presenti di non usare i tablet e di non twittare.

Certo i sindacati meritano un po’ di rispetto. Già sono in forte crisi di rappresentanza, già tutti i sondaggi danno torto a questa battaglia di retroguardia sull’articolo 18, in difesa di un totem che non conta nulla se non come simbolo. E lo dico sia per chi non vuole cambiarlo, sia per chi intende rammendarlo ulteriormente. Parliamo di occupati, scordandoci che l’emergenza è la disoccupazione. Ci accapigliamo sul fatto che il reintegro debba restare solo per i licenziamenti discriminatori e i disciplinari o anche per gli economici, mentre i giovani devono lasciare l’Italia come nei primi anni del Novecento. Renzi sul Jobs act ha tutto il diritto di chiedere la fiducia e se la minoranza del Pd non gliela dà il giovin signore ha tutto il diritto di porre un argomento politico relativo al fatto che in un partito ci si sta con delle regole.

Vorrei sapere, però, di quale partito si sta parlando. Il Pd pare abbia subito una perdita dell’80 per cento dei tesserati. Il vice Guerini sostiene compiaciuto che a fine dicembre sarà solo un dimezzamento. È giusto così. Il Pd è l’unico partito che pensa di essere ancora tale. In Italia gli eredi del Pci non hanno capito (Renzi lo ha capito) che i partiti non esistono più. Abbiamo scelto il modello americano. Godiamocelo. Altro che sezioni, iscritti e l’Unità. Anticaglie. Quello che non capisco e il motivo per il quale non si prende il toro per le corna. Lo dicono tutti. Da destra a sinistra. Il vero problema italiano è la mancanza di crescita. Siamo ormai gli unici in Europa ancora col segno meno. E noi ci scontriamo sull’articolo 18. Il vero provvedimento da assumere sarebbe detassare il costo del lavoro portandolo nella media europea.

Servono trenta, quaranta miliardi, mica noccioline, per equipararlo a quello della Germania. E siccome non riusciamo, forse sarebbe anche deleterio, a tagliare della stessa misura la spesa, dovremmo concertare un patto per fuoriuscire transitoriamente, come del resto previsto dal Trattato di Maastricht, che tutti citano, ma che nessuno ha letto, dal vincolo del tre per cento e dar fiato all’economia, rilanciare gli investimenti (in Italia quello in crisi è il mercato interno, avanzano le aziende che esportano), creare occupazione, rilanciare i consumi e poi, alzando il Pil, ricondurre in due, tre anni, il deficit annuo sotto il tre, anzi più vicino al due. Se continuiamo a cincischiare e a non capire il problema rischiamo, uso anch’io un linguaggio renziano, un clamoroso autogol. Facciamo pure stò Jobs act, ma se vuoi vincere la partita, e non farlo come la Juve, devi mettere mano al fisco, caro Matteo. Altro che una manovra, prevista dalle anticipazioni sul Def, di venti miliardi suddivisi in tanti piccoli capitoli (dieci servono solo per mantenere gli ottanta euro). Così va bene se si fa zero a zero.

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