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Vogliamo parlare di piazza San Giovanni, del Jobs act e anche di noi?

Diciamo la verità. I pochi socialisti che sono andati alla manifestazione di piazza San Giovanni hanno torto per quattro ordini di motivi. Il primo riguarda la collocazione del loro partito, che è nel governo col segretario e nella maggioranza con sei parlamentari. Si può partecipare, dopo avere compiuto queste scelte, a un corteo tutto incentrato sull’opposizione al governo? Non vale l’equiparazione col Pd. Quel che si contesta al Pd, di fare due parti in commedia, non si può consentirlo a noi, che non abbiamo forse neanche i numeri per farne una sola.

La seconda riguarda i precedenti. Mai i socialisti hanno aderito a una manifestazione che divideva il sindacato, promossa senza l’adesione della Cisl e soprattutto della Uil, il sindacato che ha sempre annoverato al suo interno una maggioranza di socialisti. La terza riguarda anch’essa un precedente. Mai i socialisti avevano aderito a una manifestazione di protesta alla quale mancava l’adesione addirittura dell’altro partito della sinistra. Un tempo il Pci e oggi il Pd, che non sono certo la stessa cosa. Anche se non è casuale che coloro che si sono recati in piazza San Giovanni siano tutti di provenienza ex comunista, Rosy Bindi, nota per i suoi afflati filo socialisti, esclusa.

La quarta é di contenuto. Noi siamo convinti che il Jos act sia una buona riforma. Quali diritti annulla? Nessuno. Chi gode dell’articolo 18 oggi ne godrà anche domani. La leggera modifica riguarda i nuovi assunti che dell’articolo 18 non sanno che farsene, perché, appunto, assunti non sono. Essa attiene, non già i licenziamenti discriminatori e disciplinari, che restano intatti anche per i nuovi assunti, ma solo quelli a sfondo economico che prevedono per loro solo il rimborso e non il reintegro. Vi pare che su una cosa del genere si debba gridare allo scandalo? A me pare una follia. Tanto più perché il contratto unico a tutele crescenti viene generalizzato anche nelle piccole aziende e gli ammortizzatori sociali, circa un miliardo e mezzo, vengono estesi anche a chi non ne usufruiva.

Quello che mi preoccupa è il fatto che ogni modifica del diritto del lavoro in Italia sia stata bagnata col sangue. Esagero? Partiamo dall’attentato a Gino Giugni, fino all’omicidio di Tarantelli, a quello di D’Antona, a quello di Marco Biagi, al ferimento di Da Empoli, e al fatto che Pietro Ichino debba girare blindato. In Italia il riformismo sul lavoro è nel mirino del terrorismo rosso. E mi dispiace dirlo ma che ci sia un legame culturale tra gli estremismi, mi riferisco a talune tendenze e non certo a un sindacato, e le azioni del terrorismo non è un’opinione, ma è un fatto.

Io non dico cose nuove, basti pensare all’ideologia che ha sempre contraddistinto talune lotte. Il problema é sempre stato per costoro la preparazione di uno scontro sempre più duro, non di un accordo produttivo. Il tema è sempre stato il potere dei lavoratori, cioè del sindacato, in fabbrica, non quello riformista di costruire una soluzione per combattere la disoccupazione. Che ci siano componenti del sindacato ancora ferme alla contestazione del mercato è indiscutibile. Poi mica questi sparano, no. Ma certo possono con le parole, e magari inconsapevolmente, vedasi il caso del nostro compagno Marco Biagi, orientare e istruire.

Adesso è la Cgil che deve scegliere. O trattare e trovare una soluzione che non scardini il Jobs act o finire nelle mani di Landini e della Fiom, che era l’ultima cosa che la Camusso si sarebbe augurata. Se poi prendesse forma il Partito del lavoro con Landini leader la Camusso e i suoi consegnerebbero la Cgil alla Fiom. Ognuno può liberamente scegliere di che morte morire.