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Ma di quanto cala davvero la tassazione?

Sarebbe interessante fare due conti con la legge di stabilità in mano. Secondo Giavazzi-Alesina, che sono come la Santissima Trinità, in questo caso dualità, perché scrivono come fossero una persona sola, la tassazione diminuisce di un niente. Riprendendo i dati del ministro Padoan si passerà nel 2015 dal 43,3% al 43,2. Altro che rivoluzione copernicana, altro che manovra storica, altro che primo evento dopo il Big bang, signorine Bonafè e Picierno. Bisognerebbe però fare due conti in particolare sulla tassazione sul lavoro. Secondo le prime cifre della legge di stabilità il taglio sarebbe dovuto essere di ben 18 miliardi, poi diminuito, dopo la puntualizzazione della Commissione europea, di 4 miliardi. Ma se dentro ci mettiamo anche i circa dieci degli ottanta euro, ne restano solo quattro. Saranno utilizzati per defiscalizzare le nuove assunzioni attraverso la manovra sull’Irap. Ma se il taglio dell’Irap di maggio viene annullato anche questo beneficio è pressoché nullo.

Ora sia ben chiaro, sappiamo che lavoriamo in una strettoia. I vincoli europei sono pietre pesanti sulla nostra crescita. Ma allora riflettiamo se sia giusto restare dentro quei vincoli. Ancor di più dopo il taglio imposto dall’Europa che riposiziona il nostro deficit in rapporto al Pil dal 2,9 previsto al 2,5, 2,6. Naturalmente diamo queste cifre con beneficio d’inventario perché secondo altri economisti il nostro deficit con la legge di stabilità sarà invece al 3 per cento del Pil. Diciamo solo che la Francia ha portato il suo oltre il 4 e mezzo, con un debito in rapporto al Pil del cento per cento circa, mentre la Spagna è addirittura al 5,7. La minore tolleranza verso l’Italia deriva dal fatto che il debito italiano è più alto e si aggira tuttora sul 130 per cento. Certo possiamo fare altri tagli alla spesa, dopo quelli prodotti dalla Spending review (ma sono davvero i quindici miliardi previsti?). Ma se restiamo dentro il 3 per cento, riusciamo a incentivare la nostra economia che necessita di grandi investimenti pubblici e di una forte riduzione del peso fiscale sul lavoro?

Renzi fa la voce grossa e sostiene di avere ottenuto qualche deroga, non si capisce bene se sulla quota aggiuntiva dei fondi europei, o sui provvedimenti per le calamità naturali. Non sappiamo dei trecento miliardi che Junker ha promesso quanti arriveranno da noi. Ma ancora oggi l’Italia è in recessione, chiuderà l’anno con un meno 0,4 se va bene. L’inversione di tendenza non è prevista prima della seconda parte del 2015. Sono un po’ troppi anni che la si aspetta. Il sindacato ha ragione non sul Jobs act, dove non ci sono riduzioni di diritti ma esattamente il contrario, ma ha ragione sulla mancanza di una strategia industriale. Intanto sarebbe stato opportuno, già a maggio, che il taglio di alcuni punti di Irap fosse condizionato alla assunzione di nuovi lavoratori. Ma anche adesso con interi comparti produttivi che chiudono e altri che se ne vanno all’estero e altri ancora che rischiano di andarsene non si può far finta di niente

Se si potessero avere intanto cifre chiare ed esatte non sarebbe un male. Siamo ancora in deflazione nelle grandi di città? A quanto assommano i miliardi della cosiddetta spending review? A quanto ammonta con la legge di stabilità, e dopo il taglio imposto dall’Europa, la riduzione del peso fiscale sul lavoro? Quali è quante deroghe extra tre per cento sono state strappate per l’Italia? In quali compartì si può intervenire per incrementare l’occupazione? Si intende o meno stabilire non tanto una patrimoniale sugli immobili che già esiste, ma sui depositi bancari, una percentuale che ci consenta di dare finalmente uno scrollone al debito? Si intende rimanere anche il prossimo anno, un anno decisivo per la nostra economia, ma anche per la tenuta democratica del Paese, dentro tutti i parametri europei? Insomma fissare certezze che ci permettano di ripartire con la fiducia dei cittadini, che oggi purtroppo, manca. E con scelte coraggiose che forse ancora non ci sono.