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Quel che vorrei dire a Città di Castello

8 Dicembre 2014 2.401 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

É giusto riflettere insieme. Proprio in un momento drammatico per gli episodi di corruzione e di degrado della vita pubblica. Proprio in un momento di declino della nostra economia, che non accenna e riprendersi e che un’agenzia di rating paragona all’Azerbaijan. Parlerò sul tema delle riforme istituzionali, ma vorrei partire proprio dal degrado pubblico. Noi assistiamo a due paradossi. L’articolo 49 della Costituzione attribuisce ai partiti una funzione vitale per la nostra democrazia. Oggi i partiti sono pressoché scomparsi e non sostituiti da altri strumenti di partecipazione. Il Pd, il meno antipartito, ormai si è dissolto in gruppi di potere, in parte corrotti, il metodo di selezione della sua classe dirigente è affidata alle primarie, che in Costituzione non sono previste.

Le primarie equiparano gli iscritti ai non iscritti. Basta pagare due euro e questi ultimi assumono gli stessi diritti di quegli altri. Dunque azzerano l’adesione, che dovrebbe essere il fondamento di qualsiasi associazione democratica. Non parliamo degli altri partiti, nei quali prevale ormai l’uomo solo al comando. Tanto che molti, da ultimo Salvini, decidono di scrivere il nome del leader sul simbolo, proprio perché i partiti sono stati sostituti dalle leadership. È anche la logica conseguenza del fatto che noi viviamo una fase monarchica e non democratica della politica. Abbiamo importato dall’America le primarie, che in America si svolgono per scegliere i candidati alla presidenza. Cioè al massimo incarico istituzionale. Il Pd le usa per scegliere il suo segretario. Cioè il massimo della responsabilità interna. Svuotando così i suoi aderenti del potere conseguente all’adesione. Non penso che si debba o si possa tornare ai vecchi partiti. Certo senza identità e senza storia, senza un minimo di condivisione di valori essenziali i partiti finiscono con l’acquisire solo la parte negativa dei vecchi, senza assumerne la parte più culturalmente avvincente.

Ma c’è di più. C’è un secondo e anche più grave paradosso. Renzi sostiene che con la nuova legge elettorale si deve sapere la sera stessa delle elezioni chi ha vinto e chi perso. Ha una visione calcistica delle elezioni, anzi da tifoso di basket. Perché almeno nel calcio esiste il pareggio. In quale paese del mondo succede? In nessuno. Non parlo solo dei paesi dove vige il sistema proporzionale. In Germania, ad esempio. dove le elezioni si possono anche non vincere, e ci si limita a verificare il consenso della pubblica opinione. Parlo anche della Francia e del Regno Unito, dove non è detto che un partito o una coalizione di partiti vinca. Anche recentemente nel paese più maggioritario del mondo è capitato che un partito, quello conservatore, non abbia conseguito la maggioranza assoluta e sia stato costretto a un’alleanza col partito liberale.

Cos’è che si continua a confondere in Italia? Si continua ad usare il sistema elettorale per il Parlamento in luogo del sistema elettorale per il presidente. Non si sceglie, come si dovrebbe, il sistema presidenziale. Si utilizza quello parlamentare con regole presidenziali. Tanto che si afferma, volutamente sbagliando, che il governo deve essere scelto dagli elettori. E quando mai è avvenuto da noi? Quando mai gli elettori hanno scelto un presidente del Consiglio? Lo hanno scelto forse “de facto”, ma non certo “de iure”. Questi due paradossi sono inaccettabili. Fino a quando il sistema politico non riacquisterà forma democratica, evitando anche di sottrarre ai cittadini il diritto di voto nei consessi tradizionalmente elettivi (guardate il caos che si sta verificando nelle province), fino a quando non si sceglierà il modello presidenziale o parlamentare, con regole elettorali conseguenti, non usciremo dal tunnel. E continueremo a stupirci del degrado dei partiti e della mancata efficacia dei sistemi elettorali.

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