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Il messaggio di Sergio Moroni

Devo ringraziare Galli Della Loggia che ha ricordato l’ultimo messaggio scritto da Sergio Moroni in quel tragico e cupo settembre del 1992. E al quale ha voluto rispondere il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, all’epoca presidente della Camera dei deputati. È vero, quel messaggio non ha avuto risposta, come tanti altri. Come quelle famose parole di Craxi pronunciate alla Camera a proposito delle responsabilità di coloro che prima o poi si sarebbero disvelati spergiuri. Il tempo passa e fa giustizia di molte cose. Ma coloro che sono morti, come scriveva Cesare Pavese, hanno “una voce” che continua ad ammonirci. E Sergio ci comunica ancora, dopo aver scelto, proprio come Pavese, il gesto e non più la parola.

Ho conosciuto Sergio Moroni alla Camera dei deputati nel 1987. Entrambi eravamo freschi di elezione, dopo avere vissuto più o meno le stesse esperienze. Segretari di federazione, consiglieri di Comuni o di Regioni, amministratori pubblici. Lui aveva qualche anno più di me, non tanti da evitare di considerarlo un coetaneo. Lui di Brescia e io di Reggio Emilia. Due realtà opposte politicamente, ma uguali per difficoltà ad essere socialisti a causa dell’opposta prevalenza là di democristiani e qua di comunisti. Sergio era una persona mite, apparentemente timida e un po’ introversa, con un sorriso dolcissimo. Si occupava prevalentemente di sanità. Abbiamo vissuto insieme una esperienza da commissario, lui del regionale lombardo e io di Pavia. In quel periodo, tra il 1989 e il 1991, ci siamo sentiti e visti spesso. Entrambi siamo stati sospettati da Craxi, alla fine del 1991, di simpatie martelliane.

Ero a Parigi quando lessi del suo suicidio. Mi prese un tonfo al cuore. Il giornale precisava, quasi a voler nascondere il vero motivo di quel gesto estremo, di qualche grave problema di salute che avrebbe potuto portarlo alla morte. Fu la sua lettera, un atto di coraggiosa assunzione di responsabilità ma anche di accusa, a svelarne il motivo. Era stato raggiunto da due avvisi di garanzia e la sua vita era diventata impossibile nel clima di furore giustizialista che si era creato ad arte. Questo purtroppo aveva pervaso destra e sinistra. Aveva ormai invaso anche settori del nostro partito. Tutti coloro che erano raggiunti da avviso di garanzia erano ladri. Non si aspettava nemmeno il rinvio a giudizio o il primo grado di un processo. Un avviso di garanzia per finanziamento illecito era letale. Era la dichiarazione di morte politica. Era la peggiore condanna morale. Forse, allora, anche più vergognosa di avere ucciso. Perfino i brigatisti ormai liberi venivano trattati con maggiore indulgenza.

Sergio non si era mai arricchito con la politica. Anzi. Era uno dei dirigenti più rigorosi e seri che io abbia mai conosciuto. Eppure anche lui venne messo alla berlina. Dopo il suo suicidio uno dei magistrati del Pool Mani pulite ebbe a dichiarare che quel gesto era l’ammissione della sua colpevolezza perchè sintomo della sua “vergogna”. Anche la pietà umana era stata sepolta. Anche la verità venne coscientemente manomessa. Devo ringraziare Galli Della Loggia perché ha voluto ricordare il messaggio di Sergio che ha puntato l’indice contro chi ha demonizzato la politica, l’impegno civile, il progresso economico e democratico di quei decenni che ci ha reso “più liberi”. E quel dito viene oggi puntato simbolicamente contro questo ventennio costruito sull’ipocrisia e la falsità e che ha prodotto i guasti di Roma, dopo quelli dell’Expo e del Mose. Dove la politica ha lasciato il campo al malaffare e alla criminalità. E di fronte ai quali si erge coma una limpida figura di militante socialista un uomo piccole di statura, ma grande di cuore, come Sergio Moroni.