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Renzi tra Europa e Quirinale

Il vertice europeo di ieri si è concluso con qualche apertura, qualche rinvio e qualche chiusura di troppo. Il presidente della Commissione, il popolare Juncker, ha assicurato, come il gatto e la volpe a Pinocchio, che i suoi 21 miliardi diverranno 300, anche se é difficile quantificare con esattezza oggi quanti investimenti privati saranno messi in movimento. Ad ogni modo la decisione è di non considerarli parte del patto di stabilità. Ma ci sarebbe mancato anche questo. Il rinvio è invece attinente la parte nazionale degli investimenti. Renzi aveva chiesto di stralciarli dal patto. Su questo non c’è una decisione, ma una perplessità che non produce buone sensazioni. Si conosce sull’argomento la chiusura totale di Angela Merkel, che, com’è noto, comanda la baracca.

Non riesco a capire come si possano giudicare positive queste decisioni o non decisioni. Renzi aveva fatto giustamente la voce grossa. Non capisco cosa abbia portato a casa. Anche quell’accenno eduardesco agli “esami che non finiscono mai” rimanda a una proroga di provvedimenti che l’Europa potrebbe assumere nei confronti dell’Italia, anche se ancora non sono stati assunti, riguardo agli impegni non onorati sul debito. Ora, ammettiamo anche che una parte dei supposti trecento miliardi arrivino in Italia. Quanti saranno? Quanto potrannno mai essere in una situazione in cui siamo ancora, per l”Europa, in camera di rianimazione? Potranno davvero raggiungere i quaranta ipotizzati da Padoan? Non credo proprio.

Restano due questioni enormi ancora aperte. La prima riguarda la tenuta di Renzi e del suo governo. Non sfugge a nessuno l’inversione di giudizio del Corriere della sera, da ultimo con un editoriale di Danilo Taino, sferzante sul bilancio dell’ultimo semestre governativo. D’altronde in questa fase non vedo all’orizzonte alternative al governo Renzi e Napolitano ha ragione ad apprezzarne il coraggio. Certo gennaio si annuncia come un mese decisivo. Il modo col quale verrà eletto il presidente della Repubblica influirà anche sulla tenuta del governo e dei partiti. Solo chi non capisce la politica può sostenere il contrario. E questa è la seconda questione ormai aperta. Tutti i partiti, o quel che resta di loro, sono in preda a convulsioni interne. Perfino il meno partito di tutti, quello di Grillo, è falcidiato da rotture, espulsioni, malumori. Col voto segreto le varie correnti si fronteggeranno e sarà molto difficile aggregare il consenso necessario per eleggere un presidente della Repubblica. Fossi in Renzi comincerei a trovare un’intesa praticabile dal quarto voto. Prima l’intesa, come è noto a Bersani, é solo una pericolosa rincorsa verso il burrone…

Chi entra papa in Conclave esce cardinale. La storia ce lo insegna. Sappiamo di Marini, e prima di lui di D’Alema. Solo Ciampi e Cossiga sono stati eletti al primo scrutinio. Andreotti, Fanfani e Forlani che fine hanno fatto? E poi nel 1999, e soprattutto nel 1985, il quadro politico era più chiaro. Oggi siamo tornati agli agguati degli anni cinquanta-sessanta. Allora erano tutti interni alla Dc. Oggi sono frutto prevalentemente dei giochi interni del Pd. Anche in questo i due partiti si assomigliano. Basti pensare a quel che è successo nel 2013, in occasione delle elezioni del presidente, e quello che è accaduto in occasione delle elezioni dei giudici della Corte e del Csm. Mai come oggi quel che Bettino Craxi voleva abolire a proposito dei voti sulla leggi, e cioè il voto segreto, Renzi vorrebbe abolire addirittura sul voto alle persone, come è stato fatto al Senato, incomprensibilmente, in occasione della decadenza di Berlusconi. Anche su questo siamo stati antesignani. Sia pur moderatamente….