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La scuola e noi

Non può che suscitare apprezzamento questo accostarsi alla scuola italiana col desiderio di far prevalere autonomia e merito. Il governo ha presentato, con gran battage comunicativo, l’ennesima riforma della scuola, che partendo dalla regolarizzazione di centomila insegnanti tuttora precari, ma lasciando fuori quelli delle materne e degli asili nido statali, arriva fino a nuovi criteri di scelta e di premio. Si tratta di un disegno di legge e prima di gridare gatto, come sosteneva un grande allenatore italiano che forse non eccelleva a scuola, bisogna metterlo nel sacco. Chi si ricorda della organica riforma Moratti e chi sa dire dove e come sia finita?

Poi, dopo il biennio Fioroni, che è intervenuto quasi esclusivamente per modificare ancora l’esame di maturità, è arrivata la contestatissima Gelmini della quale poco si ricorda se non le manifestazioni per difendere la scuola pubblica, anche se non si capisce da che, visto che la scuola privata in Italia copre solo il cinque per cento dell’istruzione. Noi socialisti, da laici convinti, abbiamo perfino fatto due crisi di governo negli anni sessanta, sul finanziamento alla scuola privata, ma negli anni ottanta abbiamo cercato un approdo diverso, forse ancora più laico. Qual’è il problema della differenza tra scuola pubblica e scuola privata? È che non tutti possono accedere alla prima che diventa così una scuola per ricchi.

Allora si propose un buono o vaucher che doveva valere per tutti lasciando ad ognuno la libertà di scegliersi la propria scuola. Giacché non sta scritto da nessuna parte che quella pubblica sia sempre meglio e più qualificata di quella privata. Allora, è soprattuto dopo, con le boutade un tantino superficiali di Boselli, si tornò al dogma della scuola pubblica con uno slogan quanto meno azzardato e cioè “più scuola pubblica”, che sarebbe stato meglio sostituire con “meglio scuola pubblica” o con “scuola per tutti”. Ma ogni stagione dà i frutti che dà.

Oggi Renzi, maestro di anti ideologia, ci mostra alcuni criteri della scuola “come la vorrei”. Apprezzabili i nuovi poteri che dovrebbero essere attribuiti ai presidi nella scelta degli insegnanti, sulla base di un ampio elenco. Tutta la verificare la oggettività della scelta e la possibile discriminazione in base all’amicizia, alla familiarità, alla convergenza ideale e politica. Ma d’altronde quello che era prima assegnato a concorsi o a decisioni dei provveditorati meglio sia competenza del capo dell’istituto che è chiamato a rispondere dei pregi e dei difetti dello stesso. Anche i premi, in base al merito, agli insegnanti diventano prerogativa dei presidi e qui l’idea dell’uomo solo al comando, sia esso in un partito, in un comune o in una regione, mi sembra prevalga ancora. Sai te che armonia si creerà nel consiglio degli insegnanti di un istituto dove saranno seduti insieme quelli premiati e quelli no. Ad ogni modo aspettiamo. Un disegno di legge in Italia è solo un’intenzione. È l’inizio di un lungo iter. Sai come comincia. Non sai come e quando finirà. E se finirà.