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Gli epurati

Sono dunque stati sostituiti tutti e dieci i dissidenti Pd in Commissione affari costituzionali della Camera. Parliamo di autorevoli dirigenti quali Bersani, Cuperlo, Bindi e altri meno noti. All’ultimo momento si è defilato Lauricella, convertito all’ultimo momento alla maggioranza. Come avveniva nel vecchio Psi craxiano per il suo omonimo. Ha ragione Stefano Ceccanti che, in un editoriale sul Carlino-Nazione-Giorno, sostiene la necessità della coerenza con le regole. I gruppi si incontrano, decidono a maggioranza la linea e la minoranza si deve attenere alle scelte democraticamente compiute. Altrimenti a che serve discutere e votare se poi ognuno va in ordine sparso?

Questo è vero aggiungendo però due precisazioni, che possono costituirsi come eccezioni. La prima è riferita all’autentica democrazia che esiste nei partiti e in Parlamento. Nel Pd cosa contano oggi gli iscritti se non si svolgono congressi, ma plebisciti aperti a tutti con primarie per eleggere i segretari? E quale mandato hanno ricevuto dagli elettori parlamentari eletti con liste bloccate dai vertici dei partiti? Bisognerebbe dunque calare la coerenza delle regole dentro queste due nuove caratteristiche delle nostre istituzioni. Ma esiste un secondo tema ancora più delicato ed è costituito dall’assoluta rilevanza della riforma delle nostre istituzioni, cioè della nostra democrazia, rispetto alla quale credo che a poco valga la cosiddetta disciplina di partito o di gruppo.

La posta in palio è la legge elettorale, con le sue inevitabili connessioni alla riforma costituzionale. Una parte minoritaria del Pd ritiene che questa legge, soprattutto in rapporto alla riforma del Senato, costituisca quanto meno una diminutio democratica. Senato non elettivo, Camera con premio alla lista con maggioranza relativa del 40 per cento al primo turno, che può dare la fiducia al governo, eleggere presidente della Repubblica, del Senato, della Camera, membri laici del Csm e della Corte, per di più con circa cento capilista bloccati, il che significa liste pressoché tutte bloccate per le minoranze, tutto questo costituisce una miscela che si ritiene democraticamente non digeribile.

È giusto che un parlamentare, che dovrebbe, secondo la Costituzione, rispondere esclusivamente al popolo e non a un partito, per di più su una questione di fondo che attiene alla concezione della democrazia, si debba attenere alla disciplina di partito e di gruppo e non rispondere alla sua coscienza? Per di più proprio sul tema che avrebbe dovuto, secondo le premesse enunciate dallo stesso presidente del Consiglio, costituire un elemento di larga condivisione e che per questo non era previsto negli accordi programmatici di governo. Renzi ha preferito rispondere con la solita frase, questa volta di stampo ciclofilo: “Siamo a un passo, allo sprint finale, lo faremo sui pedali e a testa alta”. Attenzione, però, alla caduta del gruppo…