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Lo scandalo de “L’Unità”

Nella lunga, tortuosa, e aggiungo anche scandalosa, vicenda de “L’Unità”, sottolineiamo, di passaggio, aspetti storico-politici per addentrarci poi in talune considerazioni economiche e anche morali, alla luce della ricostruzione del recente servizio di Report della brava Gabanelli. Continua a stupirmi la superficialità e la strumentalità dell’uso del giornale fondato da Gramsci. Si continua a sostenere che si tratta di un foglio storico della sinistra italiana, mentre “L’Unità” è stato il quotidiano del Pci, tanto che dopo la svolta dell’Ottantanove Occhetto pensò di cambiare il nome anche al giornale e non solo al partito. Che Renzi prometta di rilanciarla come quotidiano più o meno di partito è assai contraddittorio con l’esplicita natura del Pd, partito socialista in Europa e democratico in Italia. Anche se l’annunciata resurrezione si rivela utile per suscitare simpatia nella base di un partito che si intende conquistare, decapitando, nel contempo, i più naturali eredi della storia di quel giornale.

L’aspetto più inquietante è quello economico. Complessivamente “L’Unità”, dal 1994 ad oggi, ha cambiato diverse proprietà, l’ultima quella affidata al famoso cane Gunter, in realtà Maurizio Mian, il facoltoso ex imprenditore farmaceutico, che avrebbe intestato al suo cane (ma è una gustosa storiella) centinaia di milioni di euro, e che ha versato a “L’Unità” sette milioni in pochi anni in cambio di un appoggio politico per un cosiddetto piano della comunicazione tendente alla “felicità alternativa”. Da stropicciarsi gli occhi. Un misto tra Playboy e il vecchio Owen. L’ultimo editore, Veneziani, che con la sua vecchia società ha accumulato debiti per centinaia di milioni, ha licenziato alcuni dipendenti della sua holding editoriale solo per forzare la mano ai sindacati. Ha poi confidato che la linea del giornale sarà vicina a quella del presidente del Consiglio. Ci mancava..

Ma la cosa più impressionante è che, dopo il fallimento (“L’Unità” ha accumulato una media di circa 5-6 milioni di passivo l’anno dal 2000) i giornalisti siano stati chiamati in causa direttamente in mancanza di un editore. A Concita De Gregorio è stata pignorata la casa e ad altri è successa la stessa cosa, mentre il partito si è voltato dall’altra parte. Non c’entra il Pd? Ma nello statuto del giornale il Pd, pur socio solo per lo 0,1 per cento, risulta determinante per la nomina del direttore, del vice direttore, del presidente e dell’amministratore. Come dire, un socio di minoranza parecchio assoluta. Lo testimonia l’ultimo proprietario del fallimento, espressione dell’ex governatore sardo Soru, Fabrizio Meli, che sostiene che nulla si potesse fare senza il consenso del partito. L’avremmo intuito da soli…

Ma la cosa diventa ancora più delicata se si ritorna al 1994 quando la società che amministrava il giornale comunista (l’Unita spa) lasciò oltre 125 milioni di debiti. Seguite bene la trafila perché ne vale la pena. Essendo questa società di proprietà del Pds, il partito fu obbligato ad accollarsi i debiti, ottenendo una rateizzazione. E iniziò a pagarli. Nel 2007, però, entrò in pista l’arguto Sposetti che blindò tutto il patrimonio del Pci-Pds-Ds in una fondazione e, in base a una norma voluta dal governo Prodi, i 95 milioni rimanenti vennero ereditati dalla presidenza del Consiglio. Cioè dagli italiani. Un debito di 95 milioni di un giornale di partito, che ha avuto complessivamente oltre 60 milioni di provvidenze pubbliche, viene così riversato sui cittadini. Ci torneremo su questo argomento, anche perché l’Avanti è stato chiuso nell’indifferenza generale senza che un solo soldo gravasse sullo stato. Lo avvertiamo come un dovere morale per rispetto della nostra testata e alla nostra storia, per ristabilire verità e giustizia.