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Chi ha vinto, chi ha perso e chi non ha partecipato

2 Giugno 2015 1.178 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Politica e aritmetica non sono mai andate d’accordo. Quando si fanno paragoni elettorali si considerano sempre i dati più favorevoli, comparando risultati non omogenei o troppo lontani nel tempo. Stavolta il segnale dell’elettorato è ancora più difficile da dedurre, data la molteplicità di liste, a volte, penso a quella di Zaia che supera la Lega in Veneto, chiaramente riconducibili, anche se forse non interamente, ai confini di un partito nazionale.

Parto allora dalle cose semplici e non contestabili. La prima è quella relativa all’astensione, che è di poco inferiore al 50 per cento. Un dato inusuale per la nostra tradizione, anche se inferiore a quello dell’Emilia-Romagna dello scorso anno, che oscillava sul 63 per cento. Non è vero che dobbiamo abituarci al trend occidentale, giacché questo non è oggi quello della Gran Bretagna dove alle ultime elezioni ha votato più del 70 per cento. Nella massiccia astensione è collocata la sfiducia e l’insofferenza per l’istituto regionale, oggi abbandonato al suo infausto destino perfino da chi ne aveva fatto la sua identità originaria.

Se sommiamo all’astensione il voto ai Cinque stelle, interpretandoli entrambi come antipolitici, possiamo rilevare che la maggioranza degli italiani oggi è antipolitica. Se a questo dato sommiamo la percentuale della Lega allora arriviamo a una maggioranza davvero larga. Non è degna di fondata preoccupazione, da parte di chi governa, questa semplice constatazione? La seconda cosa semplice è il successo di Salvini. Rapportandolo a tutti i risultati precedenti, europei, politici, regionali, in percentuale e in voti assoluti, solo la sua Lega, che è ormai trasformata in Lega nazionale e che in Toscana diviene addirittura il secondo partito, vince e in taluni casi stravince.

Mi fermerei qui e chiederei sommessamente a Renzi parole di riflessione per il futuro. Qualche autocritica anche, visto che il risultato del suo PD, rapportato alle europee, alle politiche e financo alle regionali, e soprattutto in termini di voti, é stato negativo. Invece lo slogan che esce da Palazzo Chigi è “vittoria”. Renzi e soprattutto i suoi fidi scudieri in televisione non sanno che ripetere lo slogan tipico della verdiana marcia trionfale. D’altronde il renzismo é una parola d’ordine. Un inno al futuro che si realizza, la volta buona di chi finalmente si è reso conto che tutti i predecessori avevano fallito. Un sorriso smagliante tipico di chi assiste soltanto ai suoi trionfi

Il renzismo non è riflessione. È autocelebrazione. Sono i gol e palla al centro del vocabolario del premier. Mai lasciare intendere che possano avere vinto altri. Sarebbe come mettere nel cassetto la rottamazione. Dunque il massimo di riflessione consentito è che qualche insuccesso, vedasi la Liguria, è colpa di altri. E poi che i candidati che hanno perso, vedasi la Paita e la Moretti, non erano renziani. Mai autocritiche. Sono vietate dal cerimoniale che ha interpreti letterali come Carbone, che sostiene che il PD ha aumentato voti. Il renzismo, a volte, ammette perfino di assumere posizioni irriguardose della realtà pur di celebrare i suoi fasti.

Scrivo questo perché io non sono mai stato antirenziano. Anzi, l’Avanti ha appoggiato provvedimenti discussi come il Jobs act e la buona scuola. Ma tra il leader, la sua buona politica e il suo mito ce ne passa. Quel che emerge politicamente oggi è che, come più o meno tutti i governi, anche quello di Renzi può inciampare. Basterebbe ammetterlo, perché governare logora, oggi, caro Andreotti, più del non governare. Basterebbe precisare che taluni provvedimenti hanno destato malumore. Che sull’Italicum si potrebbe anche pensare a qualche correzione, come quelle anticipate dal Nuovo centrodestra.

Invece niente. Andremo ancora più spediti, gridano i vessilliferi dell’epopea renziana. Confondendo una gara di podismo con l’esercizio del potere. E naturalmente il leader Pd è costretto ora, dicono, alla resa dei conti interna. Ma quale resa dei conti? Visto che la maggioranza del Pd è fuori discussione si intende per resa dei conti il provvedimento disciplinare? Renzi ha dichiarato che “chi viola le regole si mette fuori da solo”. Che significa? Che si autoespelle o che deve prendere atto che verrà espulso? Se la Bindi è un cerbero, se il PD vince cinque regioni nonostante Bersani (dichiarazione di Carbone), se in Liguria si perde per colpa di Cofferati, e se la minoranza non vota l’Italicum in Parlamento, perché non liberarsene? Si, ma poi a chi dare la colpa se le cose vanno male?

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