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Il Pd tra presente e passato

9 Luglio 2015 1.209 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Lo definirei così: un partito democristiano, con una collocazione europea socialista e un passato comunista. Ormai, anche se non si sa per quanto, il gruppo dirigente del Pd e le massime cariche dello Stato, sono in mano a esponenti che provengono dal mondo democristiano o da movimenti del mondo cattolico (Renzi, Mattarella, Guerini, Delrio, Boschi, Franceschini, Fioroni, ecc, ecc). Naturalmente la linea politica del partito e del governo è influenzata da questa tendenza. Così non possono stupire i nuovi tesi rapporti con la Cgil e la posizione costruttiva della Cisl, ma non della Uil. Non può stupire una certa riluttanza a combattere battaglie di laicità e la tendenza a dialogare con la Fiat e i poteri forti. Nè può scandalizzare la scelta di inserire, vedasi l’ultima vicenda relativa alla Cassa depositi e prestiti, uomini di assoluta fiducia con più o meno analogo pedigree politico.

Anche la Dc, soprattuto con Fanfani, era divenuta partito strettamente collegato al potere pubblico e privato. Un ragno nella rete tessuta non sempre dalla balena bianca, ma da soggetti che ad essa facevano riferimento. Naturalmente vi possono essere altre analogie e differenze. Quel che è risulta chiaro è la divisione dei compiti secondo i calcoli dell’establissement renziano. Il potere e la linea politica agli uomini dell’apparato che possono avere anche diversa provenienza, vedasi Fassino, Chiamparino, un po’ meno De Luca ed Emiliano, e per tutti questi non viene applicata la regola della rottamazione, ma è indispensabile che al nuovo corso facciano riferimento. La storia è di competenza dell’ex Pci, dei suoi uomini e dei suoi riti che oggi vengono custoditi molto più di quanto non avessero fatto gli stessi ex comunisti ai tempi del Pds-Diesse.

Questo per ingraziarsi la base ex comunista e per evitare di offrire ulteriori spazi all’opposizione. Al passato sono dedicate le più incredibili delle forzature. Si rilancia L’Unità, giornale comunista fondato da Antonio Gramsci, cui lo stesso Occhetto pensò, dopo la svolta del 1989, di cambiare nome e a L’Unità vengono intestate, come un tempo, tutte le feste di partito. Si celebra Berlinguer, come il principale padre del Partito democratico, lui che era orgogliosamente comunista, anche se diverso, che non pensò mai di aderire all’Internazionale socialista. Si celebra Togliatti, si grida all’eretico ogni qualvolta qualcuno mette in discussione dogmi del passato. Ma il Pd, socialista in Europa, democristiano in politica e comunista di tradizione, è obbligato ora a risolvere le sue contraddizioni,

La crisi e i vincoli europei, col caso Grecia in prima fila, mettono ancora in evidenza la politica e i partiti. Anche nel sistema post identitario italiano i soggetti politici devono ora dotarsi di un progetto ideale. Si formerà un partito di estrema sinistra, di stampo tsiprasiano, anche in Italia, con Vendola, Fassina, Civati, benedetto dalla Cgil e ancor più dalla Fiom di Landini, e porterà via voti al Pd renziano, mentre l’antieuropeismo di Grillo e Salvini continuerà a far presa. Il Pd e il governo Renzi non possono più travestirsi e indossare tre abiti contemporaneamente. Il rilancio della politica impone scelte chiare di progetto. Renzi deve comprendere che il futuro si costruisce non solo con battute e trovate estemporanee e per farlo occorre studio, fatica e cultura. È finita la dimensione estetica della politica. È finita la storiella dei giovani scapestrati al potere. Dei ragazzini che alzano le braccia in segno di vittoria perché hanno sfrattato la generazione procedente e con sfrontatezza procedono ridendo e fischiettando a costruire un futuro divertente. Non bastano la simpatia e la furbizia. Altrimenti si finisce per essere travolti da chi un progetto di società (sbagliata) invece ce l’ha.

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