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Le promesse di Renzi

Anche nel gioco del poker quando si è in difficoltà si rilancia, Così ha fatto Renzi all’assemblea nazionale del Pd convocata all’Expo, sulla scia di quel che fece anche il Psi che convocò il suo congresso all’Ansaldo. La scenografia anche per Renzi ha un suo rilievo. Dunque se i nemici sono la destra di Salvini e il populismo di Grillo anche la sinistra radicale é un concorrente anche se dagli esiti più che possibili “improbabili”. Ma la novità del discorso del presidente-segretario è che il Pd non è più il partito delle tasse. Cioè la sinistra riformista che per finanziare il suo stato sociale aveva bisogno di continui prelievi fiscali oggi si presenta su questo argomento come la destra. Cioè come il partito e la coalizione che le tasse le vuole abbassare. Anzi, come un soggetto che, contrariamente alla destra, le abbasserà davvero.

Renzi promette di togliere nel 2016 l’Imu sulla prima casa, come fece Berlusconi nel 2008, poi mette in calendario un alleggerimento ulteriore di Ires e Irap per il 2017, infine un ritocco all’Irpef nel 2018. Personalmente sono convinto che questa ricetta sia giusta e opportuna per rilanciare investimenti e occupazione e che lo stato sociale sia destinato a trasformarsi, in una nuova accezione della socialdemocrazia, nella società solidale, imperniata su un nuovo rapporto tra pubblico e privato che superi ideologismi e corporativismi. Dunque, bene. Ma il costo dell’operazione di Renzi sarebbe superiore ai 40 miliardi. Come realizzarla senza appesantire il già gravoso debito pubblico e il rapporto deficit-Pil?

Rilanciando il Pil, certo. Padoan sostiene che sarà più alto delle previsioni già nel 2015, stimato nell’ordine dello 0,6. I dati dei primi sei mesi dell’anno in corso sono contraddittori, ma sopratutto fanno emergere la perdurante stasi dell’occupazione. Ciò significa che anche a fronte di timidi segnali di ripresa l’occupazione, soprattutto quella giovanile, non si mette in moto. Piero Fassino ha ricordato che un taglio dell’Imu sulla prima casa rischia di incidere ancora sulle casse dei comuni, ma il sottosegretario Lotti lo ha subito rassicurato che queste risorse non saranno tagliate ai comuni. Resta allora l’interrogativo su dove trovare le risorse. Se non verranno tagliate ai comuni, se il Pil non avrà un’impennata e se la spending review é stata messa nel cassetto, come sarà possibile realizzare la giusta operazione del governo restando nei parametri di Maastricht?

Penso che l’operazione vada fatta comunque. Anche a costo di sfondare i parametri europei. Tutti gli economisti più avveduti sostengono che senza una manovra fiscale l’economia italiana non riprenderà il suo percorso con un passo accettabile. Certo l’Europa dovrà comprendere che col semplice rigore non si sfonda la barriera dello sviluppo. E che per farlo occorre una rincorsa che potrebbe anche portarci fuori dai rigidi e tassativi conti che peraltro non valgono per tutti, come la Francia dimostra. Questo dovrebbe però, per diventare credibile, essere accompagnato da un taglio delle spese improduttive. E qui si rimanda al motivo tuttora ignoto del licenziamento di Cottarelli e ai suoi dieci miliardi di tagli che non si sono fatti. A cominciare dalla uniformazione delle spese sanitarie delle regioni con l’applicazione dei costi standard. Renzi, assieme agli impegni sulla detassazione, assuma anche questi ultimi e sarà più credibile. Le promesse quando si basano su operazioni certe diventano assai meno da marinaio…