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La strage della famiglia Rossi

A proposito di dimenticanze. Guarda caso si tratta ancora di dimenticanze, o di colpevoli oblii, di storia socialista. Parliamo del poco spazio che si è sempre destinato al martirio della famiglia Rossi di Guastalla. Bruno Rossi, deceduto poche settimane orsono, non ha mai voluto farsi vanto dell’antifascismo e del martirio della sua famiglia. Tanto che anch’io non ne sapevo nulla e non l’ho ricordato, me ne sono scusato pubblicamente, nei miei libri sulla storia del socialismo reggiano. Bruno ha infatti sempre militato nel PSI e in particolare nella sua corrente autonomista.

Dopo la fine del PSI Bruno Rossi non ha sopportato il modo col quale gli ex comunisti hanno trattato i socialisti e ha aderito al Nuovo Psi, alleato con la Casa delle libertà, ma si è sempre presentato come militante socialista e mai come berlusconiano. Anzi, Bruno era solito partecipare a tutte le iniziative dei suoi vecchi compagni della provincia di Reggio Emilia. Era stato a lungo amministratore del comune di Guastalla, un comune a guida socialista fino al 1990, il primo conquistato da una lista del Psi in tutta Italia, nel lontanissimo 1894, anche grazie al carisma di un avvocato guastallese, Adelmo Sichel, che fu sindaco e anche deputato al Parlamento.

La festa dell’Avanti di Guastalla ha avuto il merito, non solo di voler ricordare Bruno, ma di proiettare il documentario-intervista, ad opera di sua figlia Monica, presentato dall’altro figlio Marco, in cui si descrive la tragedia avvenuta il giorno prima della Liberazione della bassa reggiana, il 23 aprile del 1945. La famiglia Rossi (papà Giuseppe, mamma Ines, entrambi di 44 anni. la sorella Bruna di 18, il fratello più grande Leotelmo, di 24 anni, quello medio Adriano, di 20, poi c’erano i piccoli Bruno di 12, e il fratellino Gianni di soli quattro anni) coltivava un terreno nei a Santa Vittoria di Gualtieri. Alla fine del 1943 i partigiani vennero ospitati a casa Rossi, accuditi, nutriti, e la famiglia forniva anche viveri alle squadre che dal 1944 si erano formate in montagna.

La famiglia di origini e fedi socialiste era decisamente antifascista. Quella casa era diventata una casa di latitanza come si definivano allora quelle che ospitavano i resistenti. I Rossi vennero spiati e alla fine scoperti. Una squadra nazista, con postazione a San Girolamo, poco lontano, arrivò a casa Rossi prima delle sei del mattino del 20 aprile del 1945. Stava albeggiando e si doveva iniziare il lavoro nei campi. C’era anche un gruppo di mongoli, i più spietati. Perquisirono la casa, minacciarono e picchiarono il papà e il figlio Adriano. Poi portarono mamma, papà, Adriano e Bruna (il fratello più grande, Leotelmo, non era in casa e figurava tra i lavoratori del campo) a San Girolamo, assieme ad altri due prigionieri, Catellani e Bigliardi.

Dopo due giorni di interrogazioni in cui non si presagiva la tragedia imminente, anche a causa dell’annunciato arrivo degli alleati e dei partigiani, nella notte del 23 aprile, si decise lo sterminio. Vennero prelevati i primi tre, papà Giuseppe, il figlio Adriano e Catellani. Era notte, una notte veramente buia e senza stelle. I fucili luccicavano e facevano presagire un destino segnato. Papà Giuseppe diede un colpo sulla spalla al figlio. Era il segnale di fuga. Adriano si mise a correre da un lato e Giuseppe dall’altro, con Catellani. I nazisti cominciarono a sparare. Adriano si salvò accartocciandosi dentro un fosso, Giuseppe e l’altro vennero colpiti e feriti.

I nazisti si avvicinarono poi a papà Giuseppe e lo finirono a colpi di pistola in testa. Catellani riuscì a darsi per morto, scampando. A quel punto, per non correre il rischio che qualcun altro potesse fuggire, si decise per l’uso della pistola e per l’eliminazione individuale. I nazisti entrarono nel casolare a mo’ di cella, presero uno a uno gli altri prigionieri e li finirono con un colpo in testa. Cominciarono con la diciottenne Bruna, mentre la mamma urlava la sua disperazione, poi fu la volta di mamma Ines e dell’altro prigioniero. La figlia diciottenne ammazzata di fronte alla mamma. La peggiore delle crudeltà.

Le grida furono udite anche da Adriano che era poco lontano, ancora accucciato nel fosso. Era la fine. Perché gli assassini dovevano fare in fretta. Stavano arrivando i liberaratori. Bruno e il fratellino Gianni erano a casa. Col fratellone Leotelmo. Li raggiungerà poco dopo anche Adriano. Quatto fratelli senza papà, mamma e sorella. Con un futuro davanti e un dramma di proporzioni enormi che avvelenava il loro animo. E lo avrebbe segnato per sempre.

Quando arrivarono i partigiani e gli americani, quando si festeggiò la libertà con cortei e comizi, tutti erano in festa, meno loro, che poche ore prima avevano perso la metà della loro famiglia. Sterminata solo perché stava arrivando l’ora della vittoria. I fratelli, Bruno in testa, l’unico che si dedicherà alla politica militando nel PSI come papà Giuseppe, parleranno poco di quella tragedia. Come se fosse un segreto da tenere gelosamente custodito. Forse perché nessuno avrebbe potuto capire fino in fondo il loro atroce, immenso dolore. Un tributo altissimo di sangue, quello della famiglia Rossi, una famiglia socialista, da ricordare con un coinvolgimento emotivo che a Guastalla ha inumidito gli occhi di tutti. E da non dimenticare.

Mauro Del Bue

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