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La Spagna e l’Italia

Ho conosciuto Felipe Gonzalez quando era esule era a Roma, durante l’ultima fase del franchismo, spesso ospite del PSI. Era il leader del socialismo iberico. Divenne premier spagnolo nel 1982 e tale si confermò fino al 1996, quando fu sconfitto dal Partito popolare di Aznar. La Spagna è un paese fantastico, denso di poesia, di pittura e di musica. Di passioni e di fenomeni sconvolgenti. Dopo una fase di profonda crisi, adesso è la nazione europea con un tasso di crescita più elevato, anche se con la disoccupazione più alta, assieme all’Italia, esclusa la Grecia.

In Spagna era sempre stato in vigore un bipartitismo storico, tra socialisti e popolari. Quasi perfetto, perché non imposto da una legge elettorale. Non che il sistema elettorale, proporzionale con sbarramento, non fornisse altre soluzioni, tanto che dopo il 1975 c’erano altri partiti storici come quello eurocomunista di Santiago Carillo (pensiamo che durante la Guerra di Spagna i comunisti divennero più forti dei socialisti anche per gli aiuti provenienti dall’Unione sovietica), ma politicamente il popolo spagnolo finì progressivamente per escludere altre soluzioni al di fuori dell’alternanza tra socialisti e popolari, che si sono contesi a suon di voti il governo del paese.

Improvvisamente in Spagna non è più così. Il bipolarismo ha ceduto il passo a un tetrapolarismo, con l’affermazione, certificata dal voto di domenica, di un partito di sinistra, Podemos, del giovane Pablo Iglesias, che si attesta al 20% e di un partito di centro anti casta, di un altro giovane leader, Rivera, che sfiora il 14%. Al Partito popolare di Rajoy il 28% e ai socialisti di Sanchez il 22. Adesso si dovrà tentare di combinare un’alleanza di governo che raggiunga la maggioranza dei voti parlamentari. Il leader storico del socialismo iberico Felipe Gonzalez rilancia la sua vecchia idea di un’alleanza tra popolari e socialisti, che del resto è in vigore anche in Germania. La stessa alleanza che dagli anni sessanta i socialisti contrassero in Italia, più o meno analoga a quella sperimentata recentemente in Francia per sbarrare la strada alla destra alle elezioni regionali.

Proprio ciò che l’Italicum italiano impedisce. La nostra legge elettorale, e qualcuno come la ministra Boschi ne ha sottolineato la valenza alla luce delle elezioni spagnole, impedisce le alleanze sia dopo sia prima del voto, sia al primo che al secondo turno. L’Italicum, unica legge al mondo, pretende che ci sia un vincitore. Come si trattasse dell’elezione di un presidente e non di un Parlamento, confondendo presidenzialismo e parlamentarismo. Questa l’obiezione di fondo che sull’Avanti ho sempre avanzato al testo. Poi ce n’è una più concreta. Il premio alla lista, che elimina l’apparentamento tra liste alleate, impone un futuro governo di partito. E questo è oltremodo anti democratico. Bene ha fatto Nencini a proporne la modifica. In Spagna per governare serve un’alleanza con la maggioranza assoluta, in Italia basterebbe una lista di partito che col trenta per cento al primo turno vinca al ballottaggio. È più fedele interprete della volontà popolare la Spagna o l’Italia?