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Dal vecchio campanilismo a una nuova alleanza tra Parma e Reggio

Sono stato eletto due volte alla Camera nel collegio di Parma, che comprendeva anche Reggio, Piacenza e Modena. Dunque occuparmi anche dei problemi locali mi era necessario. Dopo avere assunto anche un ruolo di governo come sottosegretario alle Infrastrutture ed essere tornato poi alla Camera sia pur in un altro collegio, ma soprattutto dopo aver ricoperto un incarico amministrativo nel comune di Reggio durato fino all’anno scorso, ho maturato la consapevolezza che i tracciati delle nostre province non possano più costituire frontiere invalicabili. Che la pianificazione, non solo nel campo della viabilità e delle infrastrutture, ma anche in quello dei servizi economici e culturali, sia ormai da concepire in un territorio più ampio, anche se non in una dimensione regionale. Anzi alla crisi delle regioni è assurdo contrapporre oggi una sorta di vecchio ritorno ai confini di casa. Già negli anni ottanta la Regione aveva lanciato l’idea dei poli metropolitani policentrici, slogan di dubbia comprensione, che però presupponeva la stessa consapevolezza. Il problema è che l’obiettivo nasceva dall’alto. Alla fine ha prevalso il vecchio campanilismo. Lanciai personalmente l’idea di tante collaborazioni tra città e province vicine. Ad esempio quella di un stadio in comune tra Reggio e Parma, ma mi saltarono addosso entrambe le tifoserie. Cercai, dopo il fallimento dell’Ater, di consolidare un rapporto tra il teatro di Parma, che veniva considerato polo produttivo della lirica, e quello di Reggio, come polo produttivo del balletto. Con scarsi risultati. Ognuno per sé e Dio per tutti. Oggi Parma fa i conti con una Regione che le volta clamorosamente le spalle sul Tibre, asse importante per il collegamento tra l’Europa e il mare. Attenzione, perché questo accade proprio mentre Bruxelles punta al corridoio Rotterdam-Genova, che passa da Piacenza e che finirà per penalizzare dal punto di vista economico e turistico la realtà parmense. Ritorna d’attualità il vecchio ritornello di Baldassare Molossi: “Parma bell’arma e Bologna carogna”? Ma che fare? Col senatore Fabio Fabbri abbiamo intenzione di lanciare proposte concrete da discutere coi sindaci delle due città e i presidenti della due province, da promuovere magari coi circoli Prampolini e Pertini. Le riassumo sinteticamente: una provincia o area vasta (chiamiamola, alla francese, dipartimento) che comprenda tutta l’Emilia ovest da Piacenza a Modena (i reggiani non vogliono finire nel vecchio ducato estense coi modenesi, ma forse Modena preferirà unirsi a Bologna), una riforma nazionale delle regioni tese al loro accorpamento anche ridisegnandone i confini e un processo più veloce di unificazione dei piccoli comuni, un’alleanza Parma-Reggio sulla necessità del Tibre, sulla coesistenza produttiva tra la stazione mediopadana che ha sede a Reggio e l’aeroporto che ha sede a Parma (su questo punto vorrei esaltare le potenzialità di un rapporto di interconnessione tra il trasporto via ferro e quello via aria, che ancora non sono state comprese). Infine due parole sulle Fiere e sui teatri. Parma si vanta ragionevolmente della sua Fiera e di Cibus, una rassegna di dimensione internazionale, Reggio si lamenta dei debiti della sua e guarda altrove. Possibile? L’amico Cacopardo scrive sul teatro Regio cose giuste, ma dimentica che un Festival esiste ed è finanziato dal governo e che “Le nozze di Figaro” (non il Don Giovanni) è prodotto solo formalmente dai due teatri, ma in realtà proviene dal solito circuito lombardo. Che tutto questo sia poca cosa rispetto alla tradizione lirica dei due teatri è vero. Ricordo quando di rassegne versione ce n’erano due in provincia di Parma e in conflitto tra loro. Si tenevano a Busseto e a Le Roncole. Anni impazziti. Non è più il tempo dei micro e neppure dei maxi campanilismi. A mio giudizio non è neppure più il tempo di queste regioni. Forse l’idea di unire le forze tra province e città vicine per ottenere risultati e metterli e sistema è la via giusta. Perché non tentarla