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Cambiare la natura di Bankitalia e separare le banche

La nostra epoca è caratterizzata dalla supremazia della finanza sull’economia e dalla perdita di potere della politica democratica. Questo segna generalmente lo sviluppo di una ricchezza sempre meno controllata da parte dei già ricchi e di una povertà sempre più marcata per i già poveri. Coi rischi che conosciamo per chiunque venga coinvolto in operazioni finanziarie. Cosicchè anche i ricchi rischiano. Lo Stato non può o non vuole intervenire. Le regole vengono fissate dal mercato finanziario, dalle borse, dagli interessi sulle azioni e sulle obbligazioni, sui derivati, e su altri meccanismi che sfuggono a qualsiasi conoscenza diretta dei cittadini. C’è un mondo incontrollato e parallelo che incide direttamente sulla nostra vita. Che la condiziona e la orienta, senza che noi possiamo interagire.

Riassumo un interessante scritto del professor Gianni Lazzaretti che affronta nei dettagli una storia poco conosciuta. E sviluppo anche una proposta del dottor Angelo Santoro, presidente di Interessi comuni. In Italia fino al 1981 la Banca d’Italia era completamente pubblica e aveva l’obbligo di garantire il collocamento dei titoli offerti dal ministero del Tesoro. Il debito era insomma garantito da una realtà pubblica che decideva a quanto doveva ammontare e poi come realizzarlo concretamente. Nello stesso anno il governo Spadolini, con Andreatta al ministero del Tesoro, e Carlo Azeglio Ciampi governatore della Banca d’Italia, compirono la scelta. La banca venne separata dal ministero del Tesoro e il debito messo sul mercato. Su questa questione si registrò il famoso scontro tra Rino Formica e Nino Andreatta. Dal 1982 al 1992 il debito è passato dal 58% al 105% sul Pil.

Nel 1991 arriva Mario Draghi come direttore generale del ministero del Tesoro. Egli è a capo anche del Comitato privatizzazioni. Bankitalia, che era interamente pubblica, passa in mano ai privati, con la sola eccezione di un 5% di proprietà dell’Inps e una quota minore dell’Inail. Oggi Bankitalia si trova nell’assurdo ruolo, assieme alla Consob, di vigilare sulle altre banche, con un incredibile conflitto d’interessi, essendo anch’essa una banca privata e per di più nelle mani di molte banche sulle quali dovrebbe vigilare. La vicenda della quattro banche e dei mancati controlli è perfino comica. Si chiede a una banca di vigilare anche sui suoi proprietari. Con quali effetti è noto.

Contemporaneamente alla politica delle privatizzazioni e del potere della finanza si è registrato, soprattuto in Italia, la forte diminuzione del potere politico democratico. Certo la mancanza di autorevolezza e di indipendenza della politica impedisce al Parlamento di legiferare come dovrebbe sulla materia. Il 5 agosto del 2011 Draghi, governatore entrante della Bce e Trichet, governatore uscente, scrivono la lettera che fa cadere il governo Berlusconi, che probabilmente sarebbe caduto anche da solo. Il tentativo di Tremonti di imporsi con una legge che poneva il problema di separare il credito produttivo dall’attività speculativa, in buona sostanza le banche commerciali e quelle d’affari, non è andata in porto. Credo che sarebbe bene che i socialisti in Parlamento riprendessero le due questioni: quella della natura di Bankitalia e quella della separazione delle banche. Presentando essi stessi le leggi sulla materia. Ne va della sensazione di essere ancora una democrazia e non una bancocrazia. Una sensazione che oggi è piuttosto remota.

Mauro Del Bue
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