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Delitto di stato?

Avevamo già scritto ieri dei nostri forti dubbi sul comportamento di un regime che consente la diffusione di voci su un incidente stradale del giovane italiano trovato morto, i cui segni di tortura e sevizie erano evidenti. L’ambasciatore italiano in Egitto Massari ha visto personalmente il cadavere del povero Regeni e non ha avuto dubbi a parlare di omicidio. Bene ha fatto il ministro Guidi a sospendere subito la sua visita al Cairo e il ministro Alfano a inviare in Egitto agenti italiani per investigare sul caso. Riepiloghiamo i fatti che conducono ad un’unica inquietante ipotesi. Regeni è sparito proprio il giorno in cui si svolgono annualmente le manifestazioni in occasione degli avvenimenti che diedero vita alla primavera egiziana e poi alla cacciata di Mubarak (oggi quasi tutti ritengono che il suo regime fosse assi più liberale di quello di Al Sisi).

Il ragazzo stava scrivendo una tesi di laurea sul sindacato in Egitto e aveva diversi contatti con settori dell’opposizione al governo, peraltro clandestina. Scriveva su questo articoli per Il Manifesto sotto pseudonimo perché nutriva serie preoccupazioni a causa delle repressioni del regime. Il suo corpo è stato ritrovato in un fossato lungo la strada che da Il Cairo conduce ad Alessandria, non lontano dalla sede della polizia politica dove già erano stati torturati e assassinati alcuni oppositori. Secondo le prime impressioni Regeni sarebbe stato torturato e seviziato per giorni e poi ucciso e scaraventato nel fossato.

Usando la logica si può senz’altro supporre che il ragazzo sia stato vittima delle feroce violenza di un regime che si dichiara amico dell’Italia e dell’Occidente. E che sta pure combattendo l’Isis e il terrorismo islamico. Per di più assai interessato a sviluppare relazioni economiche con l’Italia, già impegnata per 3 miliardi di euro in interessanti e strategici investimenti. Cosa deve pretendere il nostro paese? Innanzitutto deve reagire a schiena dritta. Per rispetto di questo ragazzo che d’altro non era responsabile se non della sua ricerca culturale e di una strenua difesa dei principi di verità e di libertà, per rispetto della sua famiglia e dei suoi amici, per quello di tutti gli uomini liberi del mondo, deve porre al primo posto la ricerca dei colpevoli e dei mandanti. Fossero pure all’apice del governo egiziano. E puntare diritto alla loro punizione.

Se si dimostreranno connivenze o addirittura complicità del regime in questo feroce delitto (che, non illudiamoci, verrano alla fine scaricati su qualche funzionario o militare) l’Italia alzi la testa fino ad interrompere i rapporti diplomatici con quel paese. Non lo dobbiamo solo a Regeni, ma a tutti gli oppositori liberali e ai principi universali di rispetto dei diritti umani. È evidente che l’intreccio tra lotta al terrorismo, interessi economici, e diritti umani, non può essere separato. È vero che la situazione in Iran non è certo migliore e che, nonostante l’interruzione dell’embargo e il nuovo patto con gli Usa, le esecuzioni e le persecuzioni in quel paese non sono cessate. La priorità della lotta al terrorismo che ci attacca può dunque farci chiudere più di un occhio. Ma permettere che un nostro ragazzo sia massacrato in questo modo senza reagire e duramente, questo non sarebbe accettabile. Né dignitoso. In nome della lotta al terrorismo islamico non si può coprire nessunn terrorismo di stato.