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Partire per la Libia?

E’ giusto che il nostro presidente del Consiglio manifesti prudenza a proposito dell’intervento in Libia. Anche la comunità internazionale ha sempre anteposto a qualsiasi intervento militare contro l’avanzata del Daesh la formazione di un governo di unità nazionale che superi il conflittuale potere duale dei governi di Tunisi e Tobruk. Quando sembrava che il presidente designato Serraj fosse in condizione di ottenere il placet dei due parlamenti, é esplosa la grana del generale Haftar e del suo ruolo nel potere politico e militare. Ancora i due governi non hanno trovato un accordo e un intervento militare in queste condizioni sarebbe un rischio perfino inutile, oltre che controproducente.

Resta il tema della guerra all’Isis o Daesh e della sua avanzata in Libia, come é esistito il tema dell’intervento militare della Russia in Siria, discutibile fin che si vuole ma che, se non ci fosse stato, avrebbe aperto le porte di Damasco ai terroristi. Ed esiste per noi italiani, recentemente colpiti dal barbaro assassinio di due connazionali, e per l’Europa tutta, il problema di decidere una funzione in politica estera anche indipendente da quella americana. E’ troppo comodo accusare gli Stati uniti di essere ad un tempo eccessivamente interventista e assenteista. Questo atteggiamento schizofrenico è il sintomo della nostra debolezza.

Troppo comodo è anche rifugiarsi dietro i sondaggi. Si dice che l’ottanta per cento degli italiani sia contro la guerra. È come dire che la maggioranza degli italiani è a favore della diminuzione delle tasse. Che scoperta. Il problema, che si pone a degli statisti, é sapere quali decisioni si devono assumere per difendere l’Italia, l’Europa, il mondo dall’attacco del terrorismo islamico. E se qualcuno afferma che la soluzione migliore è la pace, cioé la pace coi terroristi, deve spiegare come é possibile conseguirla. Se immagina un compromesso, un tavolo di trattativa con Al Bagdadi e compagnia. Se ritiene che lo stato islamico sia un interlocutore affidabile.

Se la risposta è no, allora sorge doverosa un’altra domanda. Quali sono i mezzi più efficaci e i tempi più consoni per combattere un terrorismo che ci ha dichiarato guerra, che oggi è a duecento chilometri dalle nostre coste, che ha già insanguinato più volte l’Europa? I mezzi li sceglieranno i tecnici militari (intelligence, azioni dal cielo, azioni da terra, un mix di tutto questo?), i tempi li devono scegliere i politici nell’ambito delle regole fissate dalle democrazie parlamentari. Resto anch’io convinto che questi ultimi non siano ancora maturi finché non si sia chiarita la situazione politica libica. Anche perché deve assolutamente essere limpido e praticabile l’obiettivo del dopoguerra e non si devono ripetere gli errori del passato. Ma resto altresì convinto che ad un intervento si dovrà arrivare, con buona pace dei pacifisti in salsa trentanovista e dei filo-anti americani a giorni alterni.