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L’introduzione di Del Bue al convegno del Fuori Orario

Superare i confini. L’Enza non è il muro di Berlino

Questo appuntamento al Fuori Orario non penso sia proprio fuori luogo. Anzi credo sia davvero un’iniziativa fuori dal Comune, nel senso letterale del termine, perché abbatte le vecchie barriere in cui tutti, con una certa pigrizia, ci siamo rintanati. Se mi chiedessero il perché di questo nostro rinchiuderci in una trincea comunale e provinciale, direi che questo era dovuto essenzialmente a una logica elettorale. Cioè le nostre amministrazioni venivano promosse o bocciate dal voto degli elettori residenti nell’ambito dei vecchi confini. L’abolizione dell’ente elettivo provinciale, peraltro assolutamente opinabile, ha almeno rimosso questa necessità, mentre l’individuazione delle nuove province o aree vaste, che ne incolleranno più d’una, obbliga tutti a guardare oltre i confini che per noi sono rappresentati da un fiume col nome di donna. Un fiume che non può essere considerato una riedizione in salsa emiliana del muro di Berlino. Proprio lì è nata, in un conviviale tra Fabio Fabbri, che su quel fiume è nato in sponda reggiana, prima di parmigianizzarsi, e chi vi parla, l’idea di questo convegno. Che vorrei pensare come un inizio. Perché oggi, per metterla in musica, visto che siamo prossimi alle terre di Verdi, noi dirigiamo solo una sinfonia, suoniamo un’ouverture. L’opera la dovete scrivere e cantare voi in seguito. Già prima di quella amichevole chiacchierata c’erano stati alcuni cenni di interesse e di disponibilità.  Ricordo un’intervista del sindaco di Reggio Luca Vecchi rilasciata alla Gazzetta di Parma sulle relazioni che si sarebbero potute intrecciare tra la stazione dell’Alta velocità di Reggio e l’aeroporto di Parma a cui sono poi seguiti i mie due articoli pubblicati prima sulla Gazzetta di Parma e poi su quella di Reggio. L’argomento era relativo alla possibilità di mettere a sistema opere e attività che già ci sono e progetti da realizzare in futuro.

I due atteggiamenti da deporre in soffitta

Credo che occorra però preliminarmente superare due atteggiamenti che hanno per molti anni caratterizzato una certa cultura delle nostre due città e province. Da parte di Reggio quell’idea un po’ lagnosa dei due ducati che sfruttano la povera città più contadina, soprattutto quello austro-estense che la dominò fino a metà dell’Ottocento, ma anche quello di Maria Luigia, che ne deteneva parte del territorio provinciale (Guastalla divenne provincia reggiana solo dall’unità d’Italia). Quella suggestione d’essere trattati da realtà secondaria e non attraversati per ingordigia altrui da una ferrovia, quella verso Spezia se l’aggiudicò Parma nel 1861 con un progetto che Cavour ritenne più praticabile di quello presentato dai reggiani, con diramazione verso Lucca. Qualche punta di formaggio avrà potuto contribuire alla scelta. Siccome Cavour morì di lì a poco dubito che sia stato il nostro Parmigiano-Reggiano. E nemmeno attraversati, se non parzialmente, da un’autostrada, quella del Brennero che sfocia a Modena, col suo probabile allungamento fino a Sassuolo. Un atteggiamento che ci assolveva senza invece interrogare le nostre amministrazioni che hanno storicamente sottovalutato, almeno fino alla fine degli anni settanta, i progetti delle grandi infrastrutture preferendo investire nei servizi. Dal canto suo Parma deve sapere uscire da questa concezione di sé come ombelico dell’universo, come capitale condannata al gregariato di Bologna. Ho letto di un convegno di industriali di Parma che ripropongono il tema della grandeur parmigiana in salsa francese, in una vocazione solipsistica a mio avviso anche scarsamente produttiva. Parma deve uscire dal suo isolamento. E lasciar perdere quel conflitto storico con Bologna che aveva indotto il bravo Baldassarre Molossi, direttore della Gazzetta di Parma, a coniare il celebre detto “Parma bell’arma, Bologna carogna”, vaticinando l’antico proposito di una nuova regione, quella lunense, che dalla bassa si doveva spingere fino al mare di Spezia. Queste due suggestioni meglio confinarle oggi nel dimenticatoio e progettare un nuovo, produttivo, utile territorio da mettere a sistema. Questo il tema che poniamo quest’oggi alla vostra attenzione.

La nuova area vasta

A fronte della perdita di credibilità dell’ente regione, a cui non crede più ormai nemmeno la Lega di Salvini, a fronte anche della sua perdita di potere, con la riforma costituzionale e il venir meno del nuovo titolo V della costituzione introdotto per motivi elettorali dal governo dell’Ulivo, e nel contempo col superamento delle vecchie province, che dovranno accorparsi, ma solo come enti di secondo grado, si pone la questione di individuare la cosiddetta nuova area vasta. Modena la vorrebbe costruire con Reggio. Reggio preferisce una provincia dell’intera Emilia ovest che da Modena si congiunga a Piacenza. Modena nicchia, anzi pare decisamente indisponibile. Bologna, ho ascoltato recentemente il sindaco Merola alla conferenza programmatica del Psi, dopo aver fatto coincidere i confini della nuova area metropolitana con quelli della sua vecchia provincia, auspica nuove relazioni e patti con Modena e Ferrara. In qualsiasi soluzione l’asse Reggio-Parma, certo da allargare a Piacenza, con la quale bisognerà stabilire un nuovo rapporto, risulta centrale. Così come non più rinviabili sono gli accorpamenti dei piccoli comuni che solo il conservatorismo più gretto ancora rende così rari. Pensate che la provincia di Firenze ha solo 44 comuni, meno di quelli delle nostre rispettive province. Che sommate insieme fanno gli abitanti della provincia fiorentina.

Quali opere da mettere a sistema

Fabbri citava le opere e le attività da mettere a sistema. La stazione dell’alta velocità dovrà essere collegata anche all’aeroporto di Parma, che senso hanno due fiere, una, quella di Parma, così forte anche grazie alla grande rassegna Cibus e l’altra, quella di Reggio, così debole e in forte crisi. Come organizzare i comuni dell’alto Appennino che oggi sono uniti nel parco da normative uniche e da un unico consiglio di amministrazione? E come, nella bassa, governare il progetto della Cispadana nuovamente finanziato o la Tibre che invece pare la Regione abbia negato. Sono solo alcuni argomenti visto che l’Università unisce Reggio a Modena e Parma oggi va da sola, anche se quando ero deputato e membro della commissione cultura della Camera il vecchio rettore Occhiocupo delegò a Reggio Emilia una specializzazione di agraria. Esistono poi temi nuovi, dei quali insieme potremmo seguire l’iter. Penso alla via Emilia bis, che altro non sarebbe che la cucitura delle diverse tangenziali che si succedono sulla via Emilia, dunque anche tra Reggio e Parma, e che potrebbe costituire una alternativa alla via Emilia tradizionale troppo spesso intasata. Ma più che gli elenchi occorre stabilire un metodo. Penso ai nostri teatri. Visto che per alcuni anni sono stato alla guida di quello di Reggio, penso alla crisi dell’Ater che con un una certa approssimazione aveva costruito un sistema produttivo logico. Il teatro di Parma avrebbe dovuto diventare polo produttivo della lirica, quello di Reggio polo produttivo del balletto, con un’orchestra Ater in comune, Modena tutta dedita alla prosa. Invece ognuno ha continuato troppo spesso per conto suo. Altro che associazione, abbiamo visto la dissociazione progressiva dei teatri dell’Emilia-Romagna. Il Festival Verdi ha unito ancora i teatri di Parma e di Reggio. Ma come? Si sono divisi le risorse tra lirica e balletto e ognuno ha agito per conto suo. Meno male che in quest’ultimo periodo i nostri teatri, costretti per la verità dalla crisi, si sono rimessi a collaborare. E’ un bel segnale, forse dovuto a stato di necessità Io sogno un sistema teatrale in cui ci si scambia di tutto, anche il pubblico. Visto che Reggio e Parma distano 15 minuti di treno, anziché spostare gli spettacoli si può spostare il pubblico. Lo abbiamo fatto in qualche occasione noi reggiani con Bologna è la cosa è stata molto gradita. E poi anche negli spettacoli lirici basta con regie e scenografie costosissime e di dubbio gusto. Torniamo al nucleo vitale dell’opera che sono la musica e il canto e produciamo opere ad oratorio. Potrei continuare ma il discorso si farebbe troppo lungo. Oltretutto incalza una grande partita di squadra di calcio di una città consociata con noi nell’Iren, un grande ente che ci accomuna. Devo solo ringraziare il circolo Pertini di Parma e il Centro Prampolini di Reggio per aver organizzato questa iniziativa e in particolare la nostra giovane Daria che con Castria, Prampolini e Cocconcelli ne ha coordinato la preparazione. Noi non abbiamo alcuna carica, non deteniamo alcuna poltrona, non abbiamo pretese e ambizioni particolari. Abbiamo solo idee e quelle le mettiamo a vostra disposizione. Allora questo possa diventare il nostro inizio, questa la nostra sinfonia, la nostra ouverture. Poi magari con singole sessioni tematiche voi dovreste proseguire l’opera.