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Ma noi ci sentiamo in pace?

Dopo le cinque domande rivolte alla comunità internazionale, vorrei proporre altri sette interrogativi al governo italiano.

1) Dopo il 13 novembre, che seguiva di qualche mese la strage di Charlie Ebdo e che aveva messo in guardia tutta l’Europa dal pericolo terroristico islamista, il governo francese ammise di sentirsi in guerra. Germania e Gran Bretagna misero a disposizione, per operazioni militari, sia pur simbolicamente, alcuni mezzi da situare nei territori o vicino ai territori bellici. L’Italia, invece, dichiarò di non sentirsi in guerra e predispose solo sostegni alla sicurezza interna e alla cultura, compresi quei dvd per i diciottenni che nessuno ha mai capito che attinenza abbiano col conflitto in corso. Questa posizione l’Italia assume anche dopo le stragi di Bruxelles?

2) Giustamente il governo italiano non può assumersi l’onere di un intervento militare con proprie truppe in Libia, prima che si costituisca un governo unitario tra Tripoli e Tobruk. Qualora, nelle nuove procedure stabilite dal mediatore dell’Onu, che pare non prevedano come vincolante l’approvazione congiunta dei due parlamenti, il governo Serraj prenda forma, l’Italia si farà carico di tutte le esigenze anche militari che la comunità internazionale le sottoporrà?

3) Rispetto alla situazione siriana l’Italia sostiene la posizione americana che ritiene tuttora preliminare un accordo sulla successione di Assad rispetto alla necessità di sferrare l’attacco definitivo allo stato islamico o ritiene più consona la posizione della Russia che ritiene preliminare la lotta all’Isis, tanto che l’intervento unilaterale russo ha ottenuto l’importante risultato di un ritiro delle truppe del Califfato da una vasta porzione di territorio. In questo senso l’Italia ritiene di porre ufficialmente la questione del superamento delle sanzioni alla Russia?

4) Rispetto alle denunce delle collusioni della Turchia, strategico alleato americano, che in nome della sua dura lotta ai guerriglieri curdi in una prima fase aveva portato il governo Erdogan a considerare benevolmente la guerra dell’Isis perché coinvolgeva direttamente la popolazione curda, e alla luce delle documentate collusioni economiche con lo stato islamico l’Italia quale posizione assume?

5) Che iniziativa intende sviluppare il governo italiano riguardo all’ultima versione, tra l’incredibile e il provocatorio, che il governo egiziano ha fornito della morte di Regeni?

6) Rispetto a quei paesi o potentati di paesi che sostengono in forme diverse lo stato islamico, e che finora sono stati o ignorati o volutamente coperti da parte della comunità internazionale (Arabia Saudita, Qatar), l’Italia intende proporre qualche iniziativa, magari assieme a paesi europei che già questo stanno denunciando?

7) Il governo italiano ritiene che questa guerra, che affonda le sue radici in una interpretazione estrema di alcuni passi del Corano, abbia trovato nella difesa dei nostri valori e della nostra cultura democratica occidentale un atteggiamento adeguato, o viceversa che abbia ancora ragione Tony Blair che definisce il comportamento dell’Occidente “molle”, cioè debole e permeabile sempre da quel senso di colpa che impedisce una più incisiva lotta contro il medioevo dei diritti a cui portano i dettami del terrorismo islamico?

Sono sette domande in parte retoriche, me ne rendo conto, che rinviano a qualche considerazione, per la verità non esaltante, sulla politica estera italiana, e che non possono non portare alla memoria le posizioni del governo Craxi, il suo coraggio e la sua indipendenza di giudizio e anche di azione dall’alleato americano, ancora più difficile in un mondo diviso in blocchi, e il suo protagonismo nel Mediterraneo e nelle tensioni del Medio Oriente.