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Palazzo Masdoni tra Settecento, Pci e futuro

7 Aprile 2016 4.674 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Tutto qui mi ricorda il Pci. Nel 1954 la Federazione comunista reggiana acquistò questo palazzo storico per 30 milioni e ne fece la sua maestosa e lussuosa sede. La prima nel dopoguerra fu l’immobile di via Cairoli, lo stesso dove aveva sede il vecchio Fascio, quasi a sancire un passaggio di potere. Così anche taluni riti rimasero invariati. Il federale, il partito, la cooperativa, il sindacato, perfino le farmacie municipali erano solo passate di mano e impersonate da altri. La realtà reggiana era strutturalmente monolitica. Prima tutta socialista, poi tutta fascista, nel dopoguerra si era risvegliata a stragrande maggioranza comunista. Anche per il forte contributo che “i bolscevichi” avevano recato alla guerra di liberazione. Dal 1954 i comunisti furono proprietari di palazzo Masdoni fino al febbraio del 1991 quando il vecchio partito, dopo la caduta del muro e la svolta della Bolognina, aveva già deciso di seppellire il Pci e di dare vita al Pds, che si trasferirà alla ex Cam e poi in via Gandhi. Da allora questo magnifico palazzo nel cuore della città è vuoto ed è passato di mano due volte. Prima alla Gonzaga Spa, società costituita dall’azienda Edil Bonacini e, in misura minore, dalla Cooperativa Muratori di Reggiolo, che ha provveduto a ristrutturarne una piccola fetta sul lato di via Toschi che sfocia in via Prampolini, e poi all’avvocato Giovanni Bertolani che ha coraggiosamente deciso di acquistare il resto, forse anche per respirare, un vecchio liberale come lui, aria di conquista della vecchia roccaforte, un tempo definita il Cremlino. Anche se lui nega. Palazzo Masdoni vive anche prima del Pci e della sua nascita, ovviamente. Dai Masdoni l’immobile fu ceduto nel 1769 ai Toschi e da questi ai Rocca Saporiti. E’ un palazzo di alto pregio che nella forma attuale ha origine dall’accorpamento di due antichi edifici di origine quattrocentesca dei quali è rimasta traccia ed è attribuibile a Giovanni Maria Ferraroni (1662-1755) che interviene nella prima metà del diciottesimo secolo. Lo scalone è imponente, con loggiato e tribuna, ed è decorato con stucchi che raffigurano la Pittura, la Scultura e sul fondo il dipinto di “Ercole che uccide l’Idra”, del bolognese Antonio Schiassi (1712-1777), quasi un annuncio di sicuro trionfo nei confronti del capitalismo morente. Salendolo avevi sempre l’impressione di alzarti verso le vette del cielo della politica, poi t’imbattevi in saloni e uffici e funzionari. E sapevi che da qualche parte c’era pure quello del segretario o federale, una sorta di venerato monarca che ti aspettava dietro un tavolo ottagonale. Un tavolo da seduta spiritica, ma anche da segrete decisioni, quelle più delicate. Da affrontare con appunti su carta, ma con pennini fini e leggeri per non logorarlo. Gli uffici sono tuttora sottomessi a soffitti a cassoni, tra dipinti e ornamenti. Una sede in cui politica e arte, lotta proletaria e aristocratico patriziato, hanno felicemente convissuto. Tanto da fare apparire anche il partito una decorazione barocca. Un magnifico e forse un po’ supponente Grande fratello. Ma quel che ti prende è quel salone-teatro interno a forme ovale, anch’esso settecentesco, con architetture barocche, prospettive e volte eseguite dallo scenografo reggiano Prospero Zanichelli (1699-1772), molto adatto per esibizioni oratorie e dibattiti ideologici, e un soffitto con dipinti di angeli e cherubini di Francesco Vellani, che proteggevano e forse calmieravano un vecchio e moderato anticlericalismo. Angeli compagni, non c’è dubbio. Bertolani mi dice che ha acquisito l’immobile per dare il suo contributo alla riqualificazione della città. Un ammirevole intento che ancora però tarda ad avverarsi per evidenti motivi generali di crisi. Il suo progetto è già stato approvato dalla sovraintendenza e mi chiede se non è possibile parlarne fra tre o quattro mesi. Ci saranno delle novità. Appuntiamo. Pronti a risentirlo. Intanto si scherza sulla mia provocazione per il suo acquisto delle vestigia del Pci. “Dalla Casa rossa alla Casa bianca” è la battuta che nasce spontanea, perché il tragitto del vecchio partito, fino a quello democratico a “stelle a strisce”, è proprio questo . Un approdo in vista delle imminenti elezioni d’Oltre Oceano che magari avranno qualche conseguenza, immobiliare, anche a Reggio.

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