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Dopo il congresso. Primo obiettivo: unire i socialisti

Cominciamo a riassumere gli obiettivi lanciati dal Psi nel suo recente congresso di Salerno. Al primo punto è fissato l’impegno di riunire i socialisti in un unico partito. Operazione difficile politicamente e anche per motivi caratteriali. Questi ultimi fanno parte della tradizione socialista generalmente propensa ad esaltare le diversità anche al prezzo di dolorose scissioni. Cosa intendiamo per socialisti? Ci sono tre risposte possibili. La prima è quella relativa all’adesione al socialismo europeo e allora non si può certo prescindere dal maggiore partito italiano che ne è parte. E cioè il Pd.

Il partito di Renzi è però un’anomalia anche in Europa. E’ l’unico partito con un passato prevalentemente comunista, tanto da pubblicare l’Unità e da svolgere le sue feste, da celebrare Berlinguer, e financo Togliatti, e nel contempo l’unico con una forte presenza di cattolici anche integralisti, tanto da dividersi su importanti questioni di laicità, come la legge sulle Unioni civili. Renzi e la sua generazione non hanno passato, ma si adeguano a quello prevalente. Possiamo noi oggi, se non cambiano queste caratteristiche, se non prevale la cultura di Pittella e Nannicini, se lo stesso Renzi non rivolge un esplicito invito ai socialisti di costituire un punto di identità fondamentale del Pd, aderire a questo partito? Non credo.

Allora possiamo rivolgerci, e questa è la seconda risposta possibile, a tutti quelli che oltre vent’anni fa erano nel vecchio Psi. E che sono stati innanzitutto separati dal sistema maggioritario, dopo l’esplosione di Tangentopoli. Chi si è collocato nel rifugio berlusconiano è oggi libero da vincoli di riconoscenza peraltro comprensibili. Tuttavia la fine del berlusconismo non ha favorito la conquista di nuovi compagni di strada, confluiti oggi o nel partito di Alfano o in aree contigue al Pd. Dubito che un socialista possa anche solo per un momento trovarsi a suo agio in un partito più o meno confessionale. Nello stesso tempo il nuovo Psi di Stefano Caldoro nonostante segnali di apertura al dialogo, mantiene la sua collocazione al fianco di Forza Italia. Che dire poi di coloro che si sono recentemente posizionati su Fassina e Vendola e dei pochi che sono divenuti separati in casa?

C’è una terza risposta ed é quella più convincente. E cioè tracciare un programma e un’azione che tenda a un’aggregazione politica rivolta a tutti. E che coniughi una concezione di socialismo riformista e liberale coi bisogni dell’Italia di oggi. Non è facile, siamo pochi. E per di più il sistema politico italiano è post identitario. Contano i leader e le contrapposizioni. Eppure questo sistema danneggia l’Italia. Questo pluriventennale fallimento è davanti ai nostri occhi, con vecchie povertà riemerse e una disoccupazione di massa. Come dice Ugo Intini, si è voluto rendere debole la politica. Noi possiamo essere una risposta, se siamo in grado di esercitare questo ruolo, noi possiamo, se vogliamo, tentare di cambiare il sistema, perché è giusto e utile non per noi, ma per tutti. La battaglia contro questo Italicum ci potrebbe portare lontano.