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Terremoto. Quali reazioni, quali proposte?

21 Giugno 2016 929 views No CommentStampa questo articolo Stampa questo articolo

Ad osservare in profondità il dato elettorale viene in mente un sommovimento tellurico potente della scala Mercalli. Tra i capoluoghi di provincia in cui si è votato il Pd o il centro-sinistra (dipende dai casi), che deteneva la maggioranza in 20 comuni su 25, la mentiene solo in otto casi (ne perde dunque ben 12). Il centro-destra deteneva solo quattro comuni, raddopia e va a 8. I Cinque stelle passano da zero a tre (ma Roma e Torino valgono dieci e più), le liste civiche (tra cui quella arancione di De Magistris) passano da una a sei. Se consideriamo l’insieme dei comuni superiori ai 15mila abitanti in cui si è votato, che sono 143, il Pd, o centro-sinistra, che ne amministrava 90 dimezza e va a 45, il centro-destra tiene i suoi 34, i Cinque stelle passano da zero a 19 comuni. Le altre sono liste civiche difficili da collocare, ma più generalmente vicine al centro-destra.

Si tratta di dati che indicano una tendenza politica. E’ vero che un risultato ammnistrativo non può meccanicamente trasferirsi in quello politico. Ma quando una linea è così generale e perfino omogenea, vuol dire che l’elettorato esprime un orientamento politico, come ha avuto modo di ribadire ieri lo stesso Fassino, il più imprevedibilmente sconfitto tra gli sconfitti. Venerdì Renzi rifletterà coi suoi amici e i suoi pochi avversari interni. L’analisi che si prospetta è che, se questo è stato un voto per il cambiamento, il Pd deve cambiare ancora di più, immaginando una rincorsa a chi è più nuovo coi grillini, come il bianco del bucato di una celebre pubblicità.

Personalmente non credo che questa sia la via giusta. Il segnale lanciato non è quello di un cambiamento superficiale, di immagine, di sembianze, ma va più in profondità ed è fondato su un malumore profondo verso la politica e il governo. Si tratta di una insoddisfazione generale per lo stato di salute degli italiani, alle prese con problemi del primum vivere che gli ottanta euro non hanno saputo nemmeno scalfire, con un costo della vita che le detassazioni introdotte, accompagnate da aumenti di tributi e di costi generali, non hanno sostanziamente variato, con una disoccupazione giovanile ancora ai massimi livelli, nonostante Josb act e detassazione delle prime assunzioni. La riflesssione va innanzitutto effettuata su questo. L’obiettivo deve essere un Pil al due per cento e se necessario una patrimoniale sulle grandi ricchezzze accompagnata da una richiesta almeno triennale di uscire dal limite del tre per cento tra deficit e Pil, che consenta un massiccio investimento in opere pubbliche. Bisogna avere il coraggio di innestare una marcia diversa, occorrono interventi più risolutivi. Partendo da una narrazione della società italiana realistica e non mutuata dai soliti slogan calcistici. Renzi capirà?

Poi esiste il tema della legge elettorale. Capisco l’obiezione, che mi rivolgo da solo. A Roma e a Torino i Cinque stelle hanno vinto col premio di coalizione e presentando una lista unica contro un coacervo di liste. Vero. Bisognerebbe aggiungere che il Pd da solo avrebbe perso anche a Milano e forse perfino a Bologna. Oggi però la pur necessaria introduzione del premio alla coalizione non sarebbe nemmeno sufficiente. Il sistema italiano, tripolare, non si presta al doppio turno. Per di più nazionale e non di collegio, come quello francese. In tutti i modi ho cercato di spiegarlo ai miei sedici lettori. I motivi sono due. Il primo sta nella confusione tra elezione del presidente ed elezione del Parlamento. Un doppio turno nazionale, seguendo la logica che deve esserci “un vincitore”, si adatta al sistema presidenziale e alla sola elezione del presidente (deve esserci un vincitore, infatti, non una lista che vince), ma in nessuna legge per l’elezione del Parlamento è prevista la clausola del vincitore, nemmeno in quella inglese, dove infatti capita spesso che laburisti e conservatori siano costretti ad alleanze coi liberali. Secondo la logica del vincitore può succedere di tutto in Italia. E mi aggancio alla seconda motivazione.

Il nostro è sistema tripolare. Anche quello francese, con l’irruzione del Front national, è divenuto tripolare. Ma contrariamente a quello francese dove i due poli tradizionali si alleano o si appoggiano al secondo turno, quello italiano, fondato ancora sul mancato riconoscimento reciproco, determina la confluenza dell’uno dei due sul terzo, qualora quest’ultimo finisca al ballotaggio. E’ accaduto ovunque alle comunali e tutti i sondaggi lo danno come assai verosimile anche alle politiche. Così un doppio turno ritagliato per far sì che esista un vincitore, lo determinerà a scapito della maggioranza politica e sulla base del voto di dispetto. Nel caso di un ballotaggio tra Pd e Cinque stelle, quello che oggi sarebbe il più probabile, vincerebbero i Cinque stelle col voto derminante degli elettori di centro-destra, i più politicamente distanti dal loro programma. I quali poi potrebbero eleggersi un presidente della Repubblica al nono scrutinio, i membri laici del Csm e della Corte, oltre alla maggioranza del consiglio della Rai. L’alloro che dovea cingere il capo del giovin signor fiorentino è stato confezionato su misura per il suo contendente. Vi pare una cosa logica? Vi pare una cosa democratica? No, dai, da non crederci….

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