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Ma siamo proprio sicuri che la religione non c’entri?

Papa Francesco ci ha esortato a non credere che la guerra (da tempo il pontefice sostiene che stiamo vivendo una guerra a pezzi) sia di religione. Su questo ha ragione. Guai a pensarla come un conflitto tra Islam e cristiani. Anche dopo il feroce e barbarico assassinio del prete di Saint Etienne du Louvray non dobbiamo confondere l’Isis con il mondo musulmano. Se questa spericolata analogia fosse vera, dovremmo rassegnarci alla sconfitta se non altro per la netta prevalenza degli islamici. Oltre tutto la guerra di religione è proprio l’obiettivo di chi ci ha dichiarato guerra in nome di una interpretazione di qualche passo del Corano, che la stragrande maggioranza dei musulmani invece rifiuta.

Non è una guerra di religione, ma siamo proprio sicuri che la religione non c’entri e, come ha sostenuto il pontefice, tutto dipenda da motivazioni economiche e di dominio? Chi sono i nostri nemici, quelli che ci attaccano uccidendo e sgozzando i nostri fratelli, siano essi cristiani, ebrei, musulmani, non credenti? Da cosa hanno ricavato le loro insane convinzioni? Esiste da tempo, ma in particolare dagli anni settanta, con epicentro l’Afghanistan durante l’invasione sovietica, una tendenza estrema che interpreta la jihad come lotta contro gli infedeli, che applica la sharia, che considera l’occidente laico e crociato, e i paesi musulmani moderati, i nemici da abbattere. Si sono censiti ben 17 gruppi terroristi a cominciare da Al Qaeda, responsabile col suo condottiero milionario Osama Bin Laden degli attentati alle torri gemelle di New York. L’Isis è di formazione più recente e viene alimentata dalla rivolta siriana ad Assad e dai sunniti filo Saddam caduti dopo l’invasione anglo americana.

Solo con l’Isis il terrorismo islamico si fa stato. Conquista un territorio, vi instaura il regime islamico e le sue leggi, stabilisce una tassazione, si impadronisce di pozzi petroliferi e vende il greggio per finanziarsi. Sempre in nome di quella interpretazione religiosa che invoca la jihad come guerra santa contro gli infedeli, anche sceicchi e personalità influenti di Arabia Saudita e degli stati del golfo Persico aiutano lo stato islamico, o Daesh, a resistere, a progettare o coprire ed esaltare le azioni belliche (in realtà barbare uccisioni di bambini, donne e anziani) che dal 13 novembre scorso si susseguono a ritmi vertiginosi in Europa. Dire che l’esaltazione e il fanatismo non siano frutto di una semina religiosa, per quanto abusiva, mi pare quanto meno azzardato. Sostenere che coloro che si suicidano dopo avere ammazzato, si fanno saltare in aria o si fanno ammazzare, non lo facciano perché convinti di passare a miglior vita come eroi e martiri, con tanto di vergini a disposizione, come profetizza il Corano, mi pare discutibile. Questa non è una guerra di religioni, ma è una guerra in cui l’interpretazione di una religione ne è il fondamento.

Credo che si possa invece parlare senza timore di una guerra di civiltà. Essa contrappone la nostra civiltà liberale all’oscurantismo medioevale dell’odio, della violenza e dell’intolleranza. In questa guerra di civiltà noi dobbiamo pretendere di coinvolgere a nostro sostegno la stragrande parte del mondo musulmano, dei governi arabi e mediorientali, gli imam e le moschee dove si predica, le scuole dove si insegna. Ma dobbiamo, innanzitutto noi, essere coscienti delle nostre ragioni e della forza delle nostre libertà, conquistate in secoli di lotte, dopo rivoluzioni e guerre. E invece spesso ci mostriamo deboli, impacciati, a volte persino inutilmente autocritici.

Dovremmo fotografare la realtà e chiederci ad esempio, come ha fatto di recente una giornalista musulmana, quando mai alcuni cristiani sono entrati in una moschea e hanno sgozzato un imam, quando mai hanno fatto irruzione in un ristorante frequentato da musulmani e coloro che non conoscevano la Bibbia o il Vangelo sono stati torturati e assassinati, quando mai sono entrati nella redazione di una rivista che ironizzava su Gesù e hanno massacrato i giornalisti, quando mai hanno sparato in faccia a giovani musulmani riuniti per assistere a un concerto, quando mai hanno messo bombe in un aeroporto, in una stazione, in una metropolitana, seminando morte e terrore, quando mai hanno massacrato con un tir uomini, donne e bambini musulmani intenti a godersi uno spettacolo di fuochi d’artificio, quando mai hanno schiavizzato donne di un’altra religione e distrutto monumenti storici?

Certo, si può obiettare, paesi europei hanno partecipato e partecipano a imprese belliche in Siria. E queste seminano morti, a volte anche innocenti. Come morti innocenti seminavano anche i bombardamenti durante la seconda guerra mondiale contro il nazifascismo. Ma se Putin non fosse intervenuto in Siria il Daesh sarebbe indietreggiato o sarebbe arrivato a Damasco? E quanti altri morti avrebbe consentito? Il non interventismo è sempre più umanitario dell’interventismo? Quanti sono stati i morti della guerra civile in Algeria nell’indifferenza e nel non interventismo generale. E quanti in Bosnia? In quei casi, sì, esistevano ragioni politiche e di potere e non solo e non tanto motivazioni etnico-religiose. Oggi mi pare che il quadro sia cambiato anche perché la guerra è arrivata, nelle forme che conosciamo, nel cuore dell’Europa. Sarà retorica ma mi vengono spesso alla mente i grandi classici dell’illuminismo, a cominciare da Voltaire e Diderot, fino all’ultimo filosofo liberale, Karl Popper. E se penso alle idee che i terroristi islamici vogliono annientare non posso non ricordare le loro: la laicità, la razionalità, la tolleranza, perfino l’ironia. Per queste io credo valga la pena ancora di combattere. Per salvare le nostre conquiste. Anche in nome loro.