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Una via, un palazzo, una libreria che rischia di scomparire

Patty Nasi, figlia di Nino, mi guarda dolcemente, ma estremamente seria e scandisce con durezza le parole: “Nessuno si accorge che rischia di scomparire un pezzo di storia di Reggio”. La Libreria del Teatro è il cuore della via. E via Crispi è una delle più antiche della città. Nell’ottavo secolo l’estensione della città era la metà dell’antica planimetria romana e il suo centro si limitava alla piazza del Duomo e alle vie limitrofe. Con la rinascita economica e l’aumento della popolazione, ma anche a seguito delle minacce esterne, venne iniziata nel 1200 la costruzione delle mura di cinta e la via, che poi avrà diverse intestazioni, venne concepita come la strada più importante per collegare il centro non solo religioso, ma anche politico e sociale, con l’accesso della porta di San Nazario. Poi, sotto la dominazione dei Gonzaga (Reggio è una delle città in cui si sono alternati più padroni, fino agli estensi che arrivarono, partirono e ritornarono per mettere radici col casato austro-modenese fino all’indipendenza, salvandosi dopo il periodo rivoluzionario napoleonico) venne costruita nel 1339 la Cittadella, una fortificazione militare che occupava gli spazi degli attuali giardini. La via prese allora il nome di via di Cittadella, come il teatro (che diverrà Ariosto) e che venne distrutto da un incendio nel 1851 e in suo luogo venne eretto il nuovo Municipale, allora Comunitativo, inaugurato nel 1857. Proprio in quell’anno la via prese il nome di via del Teatro nuovo e ancora sulla destra, verso piazza Cavour, poi Martiri, era situato palazzo Scaruffi, che prendeva la vasta area che da via Crispi si affacciava sulla piazza e su via don Andreoli, poi destinate queste ultime a ospitare il Seminario, con chiesa e teatro. La parte che era destinata a chiesa venne abbattuta nel 1919 e sostituita con lo stabile della Banca d’Italia  inaugurata poi nel 1924. Già la nostra via era stata intestata dalla prima giunta socialista guidata da Alberto Borciani al radicale Felice Cavallotti, che mori a causa di un avventato duello. Poi il fascismo la volle intestare a Francesco Crispi, già garibaldino e della sinistra storica, divenuto poi, da presidente del Consiglio, feroce repressore dei fasci siciliani e dei partiti e giornali democratici che mise fuori legge. Chissà perché a Reggio hanno tolto l’intestazione di piazza del Monte a Cesare Battisti, un democratico, un socialista, un irredentista, mentre alla via adiacente hanno lasciato il nome di Crispi, un autentico reazionario, bocciando la mia proposta di intestare la via a Ferruccio Tagliavini, grande tenore reggiano, che avrebbe potuto collegarsi anche in nome dell’arte a un teatro dedicato a un attore di prosa. Ignoranza? Resta il fatto che se palazzo Scaruffi era il perno della via, la costruzione di palazzo Busetti (famiglia di ricchi commercianti) avvenuta nel Seicento (si diffuse anche la voce che il progettista sarebbe stato addirittura il Bernini) e che divenne dal 1752 al 1783 sede dell’Università, ne ha definito fino all’attuale restauro il confine a sud. Anche nel novecento questa via ha acquisito caratteri culturali importanti. Nel 1910 palazzo Franzini venne eretto in perfetto stile liberty da Guido Tirelli, l’anno prima nel palazzo di casa Vivi, di fianco, era stato aperto il cinema Radium, grazie all’iniziativa di Erminio Sabatini e Iride Mori. Il dottor Armando Mori (Reggio E. 1897- ivi 1958) accompagnerà poi la storia del Radium due volte ristrutturato e poi demolito. Nel novembre del 1919 Walter Mordini inaugurò in via Cavallotti il suo grande negozio di orologeria, giocattoli e occhiali. E già a metà ottocento, di fianco, sorgeva una libreria che poi segnerà la storia di Reggio. Era gestita da Stefano Calderini e Luigi Menozzi, chiusa più volte per riunioni sovversive e posta di fronte al Caffè della Traviata, situata in palazzo Scaruffi. Poi la libreria divenne Nironi e Prandi. E della storia di questa libreria nella formazione culturale del socialismo e poi dell’antifascismo son piene le pagine di storia. Questa libreria è dal 1960 di proprietà di Nino Nasi con annessa galleria La barcaccia, poi chiusa. E col nome di Libreria del Teatro accompagna la vita culturale reggiana accoppiandosi ai suoi migliori autori, dal poeta Corrado Costa allo scrittore Pier Vittorio Tondelli, così come Ezio Comparoni (alias Silvio D’Arzo) era stato assiduo frequentatore della Libreria Prandi, che si dedicò poi prevalentemente alle arti visive coi suoi meravigliosi cataloghi. Il vero problema è che questa storia rischia di finire. La Libreria del Teatro, divenuta patrimonio nazionale e sotto la sovrintendenza dei Beni culturali, non ha avuto alcun aiuto concreto. Tutti si voltano dall’altra parte. Cosi una storia culturale, un patrimonio nazionale, rischia di svanire nell’indifferenza generale. L’allarme mi viene lanciato da Patty, e non è la prima volta…