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Il ciclone Trump

Ha sovvertito ogni pronostico, ha smentito ogni sondaggio, perfino gli exit pol che prevedevano un testa a testa dall’esito incerto. Ha vinto in Florida e in Ohio, perfino in Pennsylvania, in Wisconsin, in Michigan, dove non doveva. Ha intercettato un malessere profondo che nessuno aveva saputo individuare. Ha capovolto ogni logica che lo vedeva perdente perché senza appoggio dei mass media, tutti dalla parte di Illary, dei poteri forti della finanza e dell’economia, delle donne, degli ispanici, degli afroamericani. Il ciclone Trump ha fatto della sua debolezza la sua forza. Il suo trionfo deve ascriversi innanzitutto come vittoria anti establishment, come sfida riuscita a tutti i poteri svuotati di qualsiasi presa sull’elettorato.

Era facile intuire che il voto a Trump era più silenzioso, soffocato, represso, di quello alla Clinton. Era assai più complicato rivelarlo mentre erano in corso le sue battute, le sue gaffes, le sue storie di donne, di sesso, di tasse. Di miliardi e di accuse taglienti e antipolitiche ai confini col senso di appartenenza alla stessa comunità rivolte alla Clinton, di urla e di improperi sotto il ridicolo fiotto di quel caschetto giallo che lo rende simile a una maschera di carnevale. E invece proprio tutto questo ha contribuito al suo trionfo. La sfida al political correct, a quella donna di potere moglie di un presidente alla quale in troppi dichiaravano il voto turandosi il baso, nella logica dinastica che l’equiparava al passato, come quello di Bush figlio di un presidente, così come Bob era fratello di John, è pienamente riuscita. Lo strappo anche su questo è evidente. Trump ha vinto anche contro una parte del suo stesso partito. Contro i Bush che lo hanno sconfessato. Ed ha tratto forza anche da questo disconoscimento.

Mi vengono spontanee tre considerazioni. La prima riguarda lo sfaldamento di ogni riferimento alla politica tradizionale. Si dice che l’America si sia spostata a destra con l’elezione di Trump paragonata a quella di Reagan del 1980. Poi si aggiunge, ma anche su questo occorre diffidare dei sondaggi, che Sanders lo avrebbe battuto. Dunque si certifica ad un tempo uno spostamento a destra e un possibile spostamento a sinistra. Paradossale? No. Partiamo dal presupposto che in America queste sono categorie abbondantemente superate e ormai pare lo siano anche in Europa. Aggiungo che il malessere che ha prodotto la vittoria trionfale di Trump, che ha radici nell’elettorato non urbanizzato, nel ceto medio che ancora non ha trovato il vecchio benessere ante crisi del 2008, nei bianchi che vedono il loro potere e la lora percentuale ridursi, perfino nelle donne che pare, e questo é l’aspetto più incredibile, abbiano votato a maggioranza per il Tycoon, e negli operai che vedono ridursi il loro reddito, perfino nei disperati, ad un tempo negli antisocialisti e negli anticapitalisti, non può essere catalogato con categorie ormai consunte.

Mi auguro che Trump cambi e diventi, come dice, il presidente di tutti gli americani e che si accorga che l’America è larga parte del mondo. Dunque che lasci perdere quelle parti del suo programma e delle sue dichiarazioni, queste sì condite di estremismo, come quelle che parlano di nuovi muri, di assurde equazioni tra musulmani e terroristi islamici, di nuova autarchia americana. Penso invece sarà un bene se perseguirà il fine di migliorare i suoi rapporti con la Russia di Putin, e se insieme, Usa e Russia, riusciranno a combattere e sconfiggere il terrorismo. Avrà la maggioranza sia alla Camera sia al Senato. Potrà governare per quattro anni l’America col consenso più alto. Il mondo si interroga, le borse flettono, tranne, ovviamente quella russa, tutti guardano come sempre all’America, e forse mai come ora con attesa, apprensione, curiosità.